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Via Crucis dei lavoratori

L’Ufficio Diocesano per la Pastorale Sociale del lavoro, giustizia, pace e salvaguardia del creato organizza in collaborazione con l’Ufficio Diocesano per la Pastorale Giovanile e Progetto Policoro la Via Crucis dei lavoratori.
Venerdì prossimo, 28 marzo, alle ore 19.00, raduno nella parrocchia Sacra Famiglia in viale Santa Panagia a Siracusa. “Tutti i lavoratori, i disoccupati, i cassaintegrati, quelli in cerca di prima occupazione, gli interinali – si legge nella locandina – insieme a sindacati e imprenditori alziamo il grido di dolore portando la croce con Cristo certi di risorgere con lui”. Il percorso della Via Crucis si snoderà lungo viale dei Comuni, via Lentini, via Rosolini, piazza della Provincia, via Melilli, via Gianni. La conclusione in largo Luigi Grazioso.
Quest’anno abbiamo scelto un
quartiere di periferia – ha spiegato don Angelo Saraceno, direttore dell’Ufficio Diocesano per la Pastorale Sociale del lavoro -. Una zona piena di contraddizioni: dove le famiglie vivono nel disagio, dove assistiamo alla chiusura di negozi, ma dove si trovano anche splendide realtà. Una scelta mirata in questa direzione in un momento difficile. Saranno presenti con noi anche i rappresentanti sindacali. Lungo il percorso, attraverso le stazioni, ripercorreremo le difficoltà del mondo del lavoro: la disoccupazione, la mancanza di lavoro fra i giovani, gli incidenti sul lavoro, i contratti provvisori“.
L’attuale situazione del nostro territorio ci pone degli interrogativi di fronte a fatiche e disagi e mette in serio pericolo anche il futuro dei nostri giovani – ha detto don Claudio Magro, direttore dell’Ufficio per la Pastorale giovanile -. Senza voler essere disfattisti, anzi proponitori di nuove strade, come ci suggerisce il Papa: “evangelizzatori autentici…La missione è una passione per Gesù, ma al tempo stesso, è una passione per il suo popolo. Quando sostiamo davanti a Gesù crocifisso, riconosciamo tutto il suo amore che ci dà dignità e ci sostiene”. (Evangelii gaudium, esortazione apostolica, n. 268). La via Crucis si snoderà per alcune strade del quartiere Santa Panagia, fino ad affacciarci alla zona industriale. Realtà lavorativa per i tanti, anche nostri familiari, negli anni ’60 e ’70, inquinamento e sogni infranti oggi“.

Arma Christi

Sono occasioni uniche attraverso le quali facciamo conoscere il patrimonio storico e artistico della Chiesa Cattedrale. Sono i segni della Passione di Cristo nell’arte e nella devozione popolare”. Nelle parole di mons. Sebastiano Amenta, amministratore della Cattedrale, la sintesi dell’esposizione “Arma Christi”, nella Cappella Sveva a Palazzo Arcivescovile in piazza Duomo a Siracusa.
Fino all’11 maggio sarà possibile visitare la mostra promossa dalla Chiesa Cattedrale con la collaborazione della società Kairos. L’esposizione, con ingresso libero, è aperta dal lunedì al venerdì dalle ore 10 alle ore 18; il sabato dalle ore 11 alle ore 22; e la domenica dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 16 alle ore 21. La curatrice è la prof.ssa Loredana Pitruzzello, il progetto espositivo è di Luciano Magnano.
La croce e il Crocifisso sono il fulcro della fede cristiana, il dramma di Gesù Crocifisso ha stimolato per secoli il pensiero filosofico, teologico ed artistico dell’uomo – spiega la prof.ssa Loredana Pitruzzello –. All’inizio del cristianesimo il crocifisso non era adattato tra i simboli cristiani, come patibolo degli schiavi, crudelissimo, era evocativo di una morte atroce e infamante. Tra le prime rappresentazioni di Cristo crocifisso, sono il rilievo di una cassetta eburnea del 420-430, ora al British Museum e il pannello della porta lignea di Santa Sabina a Roma, 432 circa. Da Costantino in poi la croce diventa simbolo di culto e si inizia non solo a trovarne come ornamento nelle chiese ma, in breve tempo gli antichi sentimenti di ripugnanza si trasformano in eclatante devozione. Nella tradizione cristiana sono detti strumenti della Passione (in latino arma Christi) gli oggetti che furono usati per la crocifissione di Gesù. Tra di essi vi sono la croce; i chiodi; la corona di spine; la lancia con cui Gesù fu trafitto; la spugna. Ognuno degli 
strumenti è diventato oggetto di meditazione. Stando alle tradizioni popolari cristiane, tutte insieme rappresenterebbero simbolicamente la Passione di Gesù Cristo e le sue sofferenze fisiche”.
Nell’esposizione si possono ammirare alcuni pezzi unici: il calice e la patena d’ambra del sec. XVI: presentano scene e simboli della Passione e sono attribuibili ad una bottega di area napoletana, anche se l’ambra proviene dalla Sicilia; la Patena istoriata in oro del sec. XVII: riporta sul retro ben nove scene della Passione di Cristo, curate in dettagli finissimi. Partendo dall’ultima cena, in basso a sinistra, in senso orario rappresentano: l’orazione nell’orto degli ulivi, l’arresto di Gesù, la flagellazione, l’interrogatorio davanti a Pilato, la salita al Calvario, Gesù inchiodato alla croce, la crocifissione e al centro la Risurrezione. Ed ancora il Reliquiario della Sacra Spina, una produzione italiana, secc. XIV e XX: questo splendido esempio di reliquiario, è stato più volte rimaneggiato. La parte più antica, costituita dalla croce in cristallo di rocca, è probabilmente di produzione veneziana del XIV secolo, mentre la ghirlanda di piccole foglie potrebbe essere un’aggiunta del XVI secolo e la base del XX. La Croce d’altare della Bottega di Vincenzo Chindemi, Siracusa sec. XVIII, va associata ai quattro reliquiari grandi destinati all’altare maggiore della Cattedrale ed è attribuibile all’autore di quegli ultimi, Vincenzo Chindemi. Il Cristo realizzato in avorio, costituisce quasi un’opera a sé, per la finezza e la dettagliata esecuzione e presenta tracce di smaltatura di colore rosso. Ed ancora il Calice con simboli della Passione XVIII sec. Argento dorato. Sul piede del calice sono rappresentate le scene della passione di Cristo: un gallo sopra una balaustra, il sudario, la croce con ai lati l’asta, la spugna e la lancia con le quali fu rispettivamente dato da bere a Cristo in croce e gli fu trafitto il costato. La Crocifissione del sec. XVI, Bottega italiana, olio su tela copia della Crocifissione di Gaudenzio Ferrari.
Tutte le figure dei Crocifisso rappresentano Gesù Patiens cioè Il Cristo sofferente – conclude la prof.ssa Pitruzzello -, che ha la testa reclinata sulla spalla e gli occhi chiusi e il corpo incurvato in uno spasimo di dolore. La tela copia del Gaudenzio è la sintesi di tutto il percorso. Leggendo il vangelo di Giovanni l’autore ha racchiuso in essa tutti gli elementi della passione compresi le Arma Christi. L’opera è del XV secolo”.

Al via la Fondazione di Comunità Val di Noto

E’ nata la Fondazione di Comunità Val di Noto, una collaborazione tra le diocesi di Noto e di Siracusa e il terzo settore per promuovere programmi di “policy permanenti” e una “progettualità diffusa” nell’ottica dei territori socialmente responsabili.

Alla presentazione hanno partecipato l’arcivescovo di Siracusa, monsignor Salvatore Pappalardo, il vescovo di Noto Antonio Staglianò, il presidente della Fondazione con il Sud Carlo Borgomeo, il vice direttore nazionale di Caritas Italiana Francesco Marsico e il segretario generale della Fondazione di Comunità “Distretto sociale evoluto” di Messina Gaetano Giunta e Maurilio Assenza, presidente della Fondazione di Comunità Val di Noto. “Oggi è un grande giorno di festa. Quello che è successo in Val di Noto, e che al Sud è avvenuto anche a Napoli, Salerno e Messina,  è un segnale molto importante – ha sottolineato Borgomeo – una comunità che vuole essere protagonista del proprio futuro individua nella coesione sociale una premessa per lo sviluppo locale e nel ‘fare rete’ la sua modalità operativa”.

Nell’avvio un contributo ai progetti viene dato da Caritas Italiana come sostegno ad azioni di sistema contro le povertà in rete tra soggetti impegnati per il bene comune. Francesco Marsico, vice direttore di Caritas Italiana, ha parlato della situazione nel Paese e dell’apporto di Caritas alla Fondazione che prevede “azioni di sistema contro la povertà”.

E di esperienze concrete ha parlato Gaetano Giunta, con il lavoro avviato a Messina. “In tre anni la Fondazione di Comunità ha accompagnato start up di nuove 27 imprese civili – ha rilevato – con la creazione di circa 200 posti di lavoro. Un nuovo umanesimo e una nuova fraternità attraverso cui ricostruiamo testimonianza civile. È un lavoro che richiede fatica ma insieme è possibile”.

“La diocesi di Siracusa – ha spiegato Pappalardo – ha accolto con convinzione fin dal primo momento la proposta di partecipare alla costituzione della Fondazione di Comunità Val di Noto per un efficace impegno di contrasto delle povertà, soprattutto per i programmi di inclusione sociale che racchiudono un progetto globale comprendente l’inserimento lavorativo e il recupero della dignità personale dei soggetti coinvolti”.

“La Fondazione di Comunità dà ‘scientificità’ all’impegno di carità solidale che viviamo in diocesi. Fare la carità richiede pensiero, intelligenza, coscienza – ha affermato Staglianò -. L’impegno per la coesione sociale permetterà di unire le grandi consegne del passato (la tradizione del vicinato, la laboriosità di tanti, il calore dell’accoglienza) alla responsabilità per le sfide dell’oggi: il lavoro, e con esso la dignità; lo sviluppo, non più a qualsiasi prezzo, ma come sviluppo sostenibile; l’assistenza certo, ma non l’assistenzialismo, quanto piuttosto la capacità della presa in carico dei più deboli”.

I primi tre progetti che saranno avviati sono: Fratello maggiore, per promuovere percorsi di presa in carico dei più deboli che aiutino “ripartenze”che indichino vie di uscite possibili dalla crisi; Tessuto inclusivo, per sostenere presenze nel territorio tese alla coesione sociale, come cantieri educativi, centri sociali ed educativi, cammini di inclusione sociale; Telaio creativo, per promuovere azioni di economia sociale con cui valorizzare i prodotti degli iblei, generare opportunità lavorative nell’ottica cooperativistica, promuovere e consolidare canali di scambio solidali.

Povertà, pace e creato tra San Francesco e Papa Francesco

«Non essere limitati da ciò che appare molto grande nella vita, ma essere contenuti da ciò che è minimo: questo è divino». Una frase di Sant’Ignazio di Loyola, per chiudere una serata di memoria francescana vissuta tra arte e spiritualità. Una suggestiva meditazione promossa dall’Istituto Superiore di Scienze religiose San Metodio nella Cattedrale di Siracusa.
I due protagonisti, la prof.ssa Mariangela Maresca e don Luca Saraceno, giocano con una doppia lettura del nome Francesco, tra il poverello di Assisi e il papa gesuita. Entrambi costruttori di pace, discepoli di madonna povertà e custodi del creato. Due innamorati della vita, due discepoli di Gesù. La serata scorre prima in un breve percorso cinematografico su San Francesco, esplicitamente raccontato nei film di Rossellini, di Zeffirelli e della Cavani o visibile in controluce nel racconto felliniano. Ma vi è anche una spiritualità in arte che è propria di Papa Bergoglio.
Povertà, pace e creato diventano le tre parole chiave, che aprono lo scrigno dell’insegnamento del Santo di Assisi e del magistero dell’attuale papa secondo Mariangela Maresca, docente di Metodologia dello studio all’ISSR San Metodio, e Luca Saraceno, rettore del Santuario della Madonna delle Lacrime e docente di Filosofia all’ISSR San Metodio.
“A pochi giorni dal I anno di pontificato di papa Francesco questo è il modo che l’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Metodio di Siracusa ha scelto per celebrare questa ricorrenza – spiega la prof.ssa Maresca -, vicini a questo papa per il suo modo di intendere la Chiesa e il mondo; per la sua attenzione agli ultimi e alle periferie esistenziali; per la sua passione per l’arte e la cultura; per il suo sguardo alle povertà del mondo e alle povertà dell’anima. A San Francesco sono stati dedicati numerosi film; sembra quasi che ogni decennio del Novecento ne abbia avuto bisogno almeno di uno. Così troviamo Il poverello di Assisi e Frate Sole, due film muti del 1911 e del ’18, brevi e di fattura semplice, di un’epoca in cui la durata dei film non si misurava in minuti ma in metri di pellicola; Frate Francesco del ’27, per il quale fu allestito un set enorme nei pressi di Firenze; San Francisco de Asìs, film messicano del ’44 che non riuscì a rendere giustizia al messaggio francescano; Francis of Assisi, hollywoodiano del ’61, un Francesco con la mascella squadrata e la barba ben curata; e alcuni film per la tv: Francesco d’Assisi del ’66, Francesco del 2002 e Chiara e Francesco del 2007, quest’ultimo con un retrogusto di fiction” .
Sulla produzione di papa Francesco si è soffermato don Luca Saraceno: “Tra udienze, omelie e Angelus papa Francesco ha pronunciato 208 discorsi ufficiali, utilizzando oltre 210 mila vocaboli. Senza contare gli interventi a braccio durante le messe mattutine a Santa Marta, che non sono trascritti integralmente. “Dio”  e “Gesù” , sono i termini più frequenti in assoluto, ma questo non sorprende. La parola “noi ” , è in terza posizione. Non veniva pronunciato così spesso da un pontefice dai tempi del plurale maiestatis, ma stavolta con tutt’altro significato. Povertà, insieme al binomio poveri/povero, rappresenta la quarta parola di questa  speciale classifica. Il tema della povertà viene molto spesso da lui associata all’esempio e al volto concreti del santo di Assisi che visse la sua vita sulle orme di Cristo, fattosi povero per arricchire gli uomini per mezzo della sua povertà. L’immagine viva di Francesco che più volte Papa Francesco presenta è data per fornire una logica d’incarnazione alla povertà che altrimenti rischierebbe di rimanere chiusa nello spazio di un suono di voce, bello ma impossibile. Ma cosa intenda Papa Francesco per povertà ben è scolpito nelle pagine della Evangelii gaudium […] Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci” .
Povertà è stile di vita, è un appello, insegnamento, necessità. Per questa ragione Bergoglio prima che parlare di povertà, ha scelto, anche da Papa, di continuare a vivere da povero.
“Per 336 volte Papa Francesco ha richiamato nei suoi Discorsi ufficiali l’attenzione sulla “pace ” .  La pace è dono da costruire e progetto da condividere. Nel suo primo Messaggio Urbi et orbi di Natale 2013, Papa Francesco parla di una pace artigianale.
Legata alla figura del poverello di Assisi è anche la parola Creato. E sempre alla parola creato Papa Francesco associa un libro della Scrittura, Genesi, e le antepone il verbo custodire, estendendo così universalmente questa vocazione all’intera umanità.
I temi della povertà, della pace e del creato si ritrovano all’interno del primo Messaggio in occasione della 47° Giornata Mondiale della Pace, accomunati e inquadrati tutti e tre dal tema tipicamente francescano, perché eminentemente biblico ed evangelico, della fraternità. La fraternità, definitivamente «fondata sulla croce di Cristo», è insieme «fondamento e via per la pace», «premessa per sconfiggere la povertà» e aiuto per «custodire e coltivare la natura» ” .
Le anime di Papa Bergoglio all’unisono si ritrovano  nel cuore di in uomo che ha scelto di percorrere infaticabilmente e gioiosamente la strada del Vangelo.
E a sorpresa è lo stesso Bergoglio che spiega nell’intervista a Civiltà Cattolica che il film da lui amato è la “La strada di Fellini ” : “Mi identifico con quel film nel quale c’è un implicito riferimento a San Francesco. Credo poi di aver visto tutti i film con Anna Magnani e Aldo Fabrizi, quando avevo tra i 10 e i 12 anni ” .
“Il capolavoro felliniano – continua don Luca – non parla esplicitamente né di pace, né di povertà né tantomeno della custodia del creato, così come non lascia menzione alcuna al nome di Francesco d’Assisi. Eppure tutto appare poeticamente e tragicamente francescano: tra il gioco e l’incanto, il disincanto e la follia, l’erramento mendicante e la morte che genera conversione e vita, si snocciolano le scene di un film che nasconde Francesco rendendolo manifesto nelle storie e nei volti dei tre protagonisti. D’altra parte La Strada è stata definita come un’allegoria cristiana dall’essenza pasquale. Abbiamo voluto vedere alcune scene di questo film con gli occhi di Papa Bergoglio e riconoscere nei personaggi le tracce che segnano il passaggio silenzioso di Francesco. Anzi proprio i tre temi affrontati, povertà, pace e creato, sembrano plasticamente incarnati dai tre protagonisti della pellicola del ‘54: Gelsomina, Zampanò e il Matto ” . 

Francesco tra arte e spiritualità

Momento di meditazione attraverso l’arte promosso dall’Istituto Superiore di Scienze religiose San Metodio nella Cattedrale di Siracusa. Sabato sera alle 20.30 l’evento dal  titolo Francesco tra arte e spiritualità, della prof.ssa Mariangela Maresca e di don Luca Saraceno.

Di quale Francesco si tratta? Il titolo è volutamente vago. La copertina dell’invito sembra indirizzare verso al persona di san Francesco di Assisi, perché raffigura un fotogramma del celebre film Francesco del 1989 diretto da Liliana Cavani (Francesco e frate Leone di spalle). Ma non si deve dimenticare che tra pochi giorni (il 13 marzo) ricorre il primo anno di pontificato di papa Francesco. 

“L’evento di sabato cade in un periodo particolare di riflessione per la Chiesa – spiega don Nisi Candido, direttore dell’ISSR San Metodio. In effetti, Mariangela Maresca, docente di Metodologia dello studio all’ISSR San Metodio, e Luca Saraceno, rettore del Santuario della Madonna delle Lacrime e docente di Filosofia all’ISSR San Metodio, hanno voluto intrecciare le due figure. Il punto di partenza è proprio la scelta inattesa e rivoluzionaria di parte del Card. Bergoglio del proprio nome da pontefice: Francesco. Le parole semplici e commoventi del novello papa e le scene intense dei film più belli su san Francesco vengono intessute dai due protagonisti della serata. Povertà, pace e creato diventano le tre parole chiave, che aprono lo scrigno dell’insegnamento del Santo di Assisi e del magistero dell’attuale papa”.

In Cattedrale è stato allestito un maxi-schermo, per poter far sì che le immagini e le musiche scelte possano trasformarsi in uno strumento di crescita spirituale.

Un corso in Lis per abbattere le barriere

‘Posso dire che è stato Giampiero, un bimbo di sette anni, sordo, ad interpellarci. 
Abbiamo deciso di proporre il corso in lis a catechisti, operatori pastorali, ai ministri straordinari della comunione ed anche io sto partecipando. L’obiettivo è formare educatori competenti per eliminare quella mediazione interpretativa che potrebbe far sentire il sordo in difficoltà rispetto agli altri’. E’ questa la particolarità del corso in lis, il linguaggio dei segni, proposto nella parrocchia Madre di Dio a Siracusa. 
A spiegarlo è stato questa mattina il parroco, don Santo Fortunato.
Un’altra iniziativa della Diocesi di Siracusa dedicata alle persone sorde, per eliminare qualsiasi barriera. ‘La Diocesi – ha spiegato la prof.ssa Bernadette Lo Bianco, referente regionale per Fiaba, il Fondo italiano abbattimento barriere architettoniche – sta proseguendo nel percorso iniziato con il Coro delle mani bianche, e proseguito con la celebrazione eucaristica, ogni seconda domenica del mese alle 12 al Santuario della Madonna delle Lacrime, dove è presente un interprete Lis (in collaborazione con l’Ente Sordi). Per me si tratta quasi di una ‘battaglia personale’, che ha già portato anche all’istituzione di itinerari turistici per Siracusa e Noto ‘accessibili’ alle persone sordo mute. Presto potremo estendere gli itinerari anche all’intero Sud Est’. Un progetto che viene realizzato in collaborazione con Italia Nostra e la professoressa Malesani in particolare. ‘Nella nostra comunità ci sono tanti non udenti – ha continuato don Santino -. Vogliamo mettere nelle condizioni i nostri fratelli di superare tutte le barriere, anche quelle comunicazionali. 
E ci rivolgiamo a tutte le fasce d’età. Il catechista ha la possibilità di interagire in prima persona attraverso il linguaggio dei segni ed annunciare la bellezza del Vangelo e la genuinità dei valori cristiani senza mediazione e con più naturalezza ed immediatezza’.  
Come fa un bimbo sordo ad integrarsi? A questa domanda ha voluto rispondere Serenella, mamma di un bimbo sordo, che si è subito chiesta come avrebbe fatto suo figlio a partecipare a scuola o al catechismo. ‘Innanzitutto ho imparato io il linguaggio dei segni. Adesso lo sta imparando anche mio figlio ed anche alcuni suoi compagni’. Docente del corso in Lis è Andrea Burgio: ‘Naturalmente si tratta di un corso di sensibilizzazione – ha precisato Burgio, tramite un’interprete -.  
Ma sono rimasto colpito dall’interesse e dalle diverse tipologie di persone che stanno partecipando. Purtroppo ancora oggi manca la cultura, ma si stanno facendo piccoli passi in avanti per una piena integrazione’.  
Sono oltre 40 le persone che si sono già iscritte, fra operatori pastorali, educatori, catechisti, ma anche genitori e nonni.

Un corso in Lis per sacerdoti e catechisti

Un’altra iniziativa della Diocesi di Siracusa dedicata alle persone sorde che sarà presentata sabato prossimo, 1 marzo, alle ore 9.30, nella chiesa Madre di Dio in viale Santa Panagia a Siracusa. 
Sono oltre 40 le persone che si sono già iscritte, fra operatori pastorali, educatori, catechisti, ma anche genitori. Alla presentazione interverranno don Santino Fortunato, parroco della chiesa Madre di Dio; la prof.ssa Bernadette Lo Bianco, referente regionale per Fiaba, il Fondo italiano abbattimento barriere architettoniche, che ha voluto fortemente l’iniziativa; Andrea Burgio, docente sordo esperto Lis; e Serenella Cantatore, mamma di un bambino sordo.
Al termine del corso, la chiesa Madre di Dio sarà in grado di offrire la catechesi anche ad i bambini sordi della città che potranno così accostarsi ai sacramenti con maggiore facilità.
Si tratta dell’ennesima iniziativa realizzata dalla Diocesi che già da diversi mesi, in collaborazione con l’Ente sordi di Siracusa, ha istituito una celebrazione eucaristica alla Basilica Santuario della Madonna delle Lacrime dove è presente un interprete Lis. La messa “accessibile” viene celebrata ogni seconda domenica del mese alle ore 12.00.

I Vescovi siciliani sulla situazione economica, sociale e politica della Regione

 ‘Lo sguardo verso la realtà siciliana, l’attenzione verso i bisogni assai gravi delle fasce più deboli, l’ascolto delle voci preoccupate per la situazione della popolazione, il giudizio che come pastori siamo chiamati a dire e a dare ci hanno convinti che in questo momento non possiamo tacere’.

Con queste parole si apriva il documento del 9 ottobre 2012, Amate la giustizia voi che governate sulla terra con il quale, come Vescovi di Sicilia, proponevamo le nostre riflessioni sulla situazione sociale e politica del momento, proprio in occasione delle incipienti elezioni regionali.

Sono trascorsi sedici mesi da allora e le urgenze che ci avevano indotti a non tacere sulla gravità della condizione in essere appaiono, oggi, aggravarsi notevolmente da rendere necessario il prendere nuovamente la parola. 

1. La crisi in atto e l’urgenza di un profondo cambiamento

La crisi che stiamo vivendo già da tempo ci chiama a misurarci con nuove sfide rispetto alle quali nessuno può essere lasciato indietro, senza che si possa immaginare un semplice ritorno ad equilibri passati.

Siamo ad un tornante delicato della storia nel quale, particolarmente come cristiani, ci sentiamo spinti a raggiungere quelle ‘periferie esistenziali’, indicate più volte dal Santo Padre Francesco, offrendo quel supplemento di testimonianza e condivisione di cui specie i più poveri hanno bisogno per fare concreta esperienza della Carità di Cristo.

La crisi economica nella nostra regione, oltre a coinvolgere qualche grande azienda, indotta a licenziare o a diminuire la produzione e quindi le ore lavorative per i dipendenti, sta interessando tante piccole e medie imprese (agricole, artigianali, commerciali), che costituiscono la trama connettiva della nostra economia provocando la vulnerabilità e la povertà delle nostre famiglie che rischiano quotidianamente la propria coesione e la propria sussistenza. 

2. L’avvio della legislatura regionale

Siamo consapevoli delle notevoli difficoltà che gravano su chi ha assunto ruoli di governo in Sicilia. In forza della nostra missione di Pastori, intendiamo tuttavia esercitare un discernimento sugli sviluppi allarmanti che accompagnano questo primo periodo di attività della legislatura.

Il primo nodo è proprio quello della classe dirigente, non solo di quella politica, che dovrebbe caratterizzarsi sempre, e a maggior ragione in questa fase, con la cifra del rigore etico e della competenza socio-politica. Essa costituisce la misura concreta di quella trasparenza nella gestione della cosa pubblica richiesta da tutti i cittadini, per non rimanere una ripetitiva evocazione retorica, utile solo ad ottenere un generico consenso elettorale e mediatico e non per affrontare adeguatamente i tanti problemi che sono sul tappeto.

In verità si tratta di una esigenza che non riguarda solo i livelli istituzionali e politici ma chiunque eserciti ruoli di responsabilità verso gli altri e che, come cristiani, ci esorta a recitare il mea culpa su noi stessi, prima che sugli altri, per le tante omissioni o pavidità.

La società siciliana al suo interno possiede una riserva di capacità e competenze che attendono di essere poste a servizio di tutti per sostenere, nella corresponsabilità, la speranza delle siciliane e dei siciliani. 

3. Una visione di lungo periodo per lo sviluppo della Sicilia

La mancanza di un virtuoso e tempestivo utilizzo delle risorse dell’Unione Europea, ancora a disposizione della Sicilia, sembra essere una deprecabile costante delle politiche pubbliche regionali, circostanza ancor più grave se si considera che con un bilancio interamente ingessato dalla spesa corrente, proprio i fondi comunitari restano (o meglio resterebbero) l’unica risorsa finanziaria significativa per promuovere la crescita dei nostri territori.

A monte di questa incapacità risiede certamente un deficit di programmazione e di prospettiva progettuale, frutto di una logica miope fatta di localismi e frammentazione, priva di ampio respiro e perciò incapace di innescare mutamenti strutturali e di generare autentico e duraturo sviluppo.

Tutto ciò non basta, però, a giustificare il gravissimo ritardo accumulatosi nell’uso delle risorse, col rischio di perderle a vantaggio di altri territori europei. Occorre ribadire con chiarezza la necessità del buon funzionamento della macchina amministrativa regionale, le cui distorsioni, corruttele ed inefficienze vanno certamente corrette con decisione, ma in una prospettiva generale di valorizzazione e riconoscimento delle competenze personali. In particolare una dirigenza pubblica continuamente delegittimata e resa precaria in funzione della fedeltà politica, più che spronata e responsabilizzata in ragione di un’effettiva professionalità, non costituisce di certo la chiave di volta verso l’efficienza e la stabilità organizzativa, condizioni necessarie a fare presto e bene per non disperdere risorse preziose.

Ulteriore preoccupazione suscita il tema del prossimo ciclo di programmazione comunitaria 2014/2020 col quale supportare le dinamiche di sviluppo dei prossimi, e probabilmente decisivi, sette anni. Nulla o quasi è dato conoscere in ordine all’orizzonte strategico che l’Amministrazione intende perseguire in questa delicatissima fase decisionale: né idee, né dibattiti, né confronti in grado di stimolare una partecipazione e un coinvolgimento diffusi della compagine economica e sociale, ma solo passaggi e documenti definiti nelle sedi burocratiche di confronto.

La costante appare, pertanto, quella di una continua rincorsa alla gestione emergenziale del contingente, rispetto alla quale proprio l’ormai cronica carenza finanziaria della Regione dovrebbe suggerire ben altro slancio progettuale e capacità di analisi. In altri termini bisogna cambiare passo se si vuole operare una inversione di tendenza che scongiuri il tracollo dell’Isola. 

4. Le politiche sociali e la famiglia

Altrettanto drammatico è quanto sta accadendo sul fronte delle politiche sociali e della famiglia. Alle promesse e ai proclami volti a sostenere i tanti poveri della nostra Regione sono seguite scelte assolutamente parziali e insufficienti, se non contraddittorie, che mostrano una grave insensibilità verso il tema delle vecchie e nuove povertà, purtroppo in costante aumento.

L’effetto annuncio della cancellazione della ormai nota Tabella H, ancora una volta non ha avuto un effettivo seguito. L’introduzione di nuovi criteri di selezione nell’uso di questi fondi avrebbe dovuto garantire una gestione più trasparente e appropriata delle risorse da attribuire ai diversi organismi del privato sociale che operano meritoriamente da anni nel mondo del bisogno e del disagio. In realtà, in questo altalenante e incerto contesto, i soggetti più qualificati ed efficienti, che con un investimento pubblico assai limitato potrebbero innescare dinamiche di rete e solidarietà vera nella risposta ai bisogni primari, soprattutto delle fasce deboli della popolazione, come quello alimentare, sono state messe definitivamente in ginocchio.

Il Governo regionale ha ritenuto, ancora, di dovere contraddistinguere le proprie scelte in tema di welfare introducendo nell’ultima legge finanziaria una generica estensione dei diversi benefici previsti dalla legislazione regionale a favore della famiglia anche alle coppie di fatto purché registrate in appositi registri delle unioni civili eventualmente istituiti dai comuni.

Si tratta di una strada intrapresa all’insegna di una lettura alquanto approssimativa e inconsapevole dei bisogni più diffusi e delle urgenze più avvertite dal tessuto familiare siciliano, frutto probabile di qualche venatura ideologica accompagnata da una disarmante approssimazione giuridica, peraltro rilevata dallo stesso Commissario dello Stato.

Tale venatura, è bene ribadirlo, poco o nulla ha a che fare con una tutela autentica di quell’inviolabile dignità e di quel valore unico che ad ogni persona, in quanto voluta e amata da Dio, vanno sempre riconosciuti, quale che sia la sua condizione di vita personale, in una prospettiva sulla quale come Chiese di Sicilia ci sentiamo particolarmente impegnati.

Invece è stato del tutto trascurato l’obiettivo di rifinanziare e attuare pienamente la legge regionale sulla promozione e valorizzazione della famiglia di cui la Regione già dispone (L.r. n. 10 del 2003), aperta ad una visione organica e innovativa della politica pubblica alla luce dei mutamenti sociali in essere nelle dinamiche e negli assetti di vita propri dell’esperienza familiare. 

5. L’accoglienza dei migranti

Una rinnovata attenzione specifica deve essere rivolta agli effetti preoccupanti del crescente fenomeno delle migrazioni interne ed esterne. Non si tratta di una semplice emergenza da fronteggiare, ma di un fenomeno dai connotati strutturali, destinato a segnare nei prossimi decenni la vita di interi popoli e nazioni, riscoprendo che l’unico modo di vivere l’attenzione all’altro è un’autentica fraternità.

I primi a mostrare questa consapevolezza sono stati proprio i cari abitanti di Lampedusa, che hanno offerto al mondo la testimonianza credibile di un’accoglienza praticata come autentica carità evangelica. Lo stesso dicasi delle altre città costiere interessate dal fenomeno degli sbarchi. Il loro esempio costituisce un monito per la coscienza di ciascuno di noi e, particolarmente, per quella di coloro che sono chiamati a responsabilità pubbliche.

Esistono, in proposito, livelli diversi di competenze e responsabilità che, come quello europeo, attendono ancora di essere pienamente esercitati. Rimaniamo convinti, tuttavia, dell’opportunità che ogni intervento, nell’ottica del principio di sussidiarietà, si ispiri alla promozione e al sostegno delle esperienze che sul campo già offrono esempi espressivi di accoglienza e integrazione, valorizzandone modelli d’intervento proposti e dinamiche di rete attivate. 

6. L’abolizione delle Province e la riforma del governo

Suscita allarme e preoccupazione l’irrisolta vicenda della tanto propagandata riforma delle Province, che finora ha prodotto solo l’abolizione dell’esistente e il protrarsi delle gestioni commissariali.

Nel pur lodevole intento di ridurre i costi degli apparati politici, non è stata tenuta in adeguata considerazione la circostanza che l’ente provinciale è parte di un più complesso sistema di governo locale, peraltro delineato nell’ambito di un precisa cornice costituzionale e non solo statutaria.

La soppressione o la modifica del sistema delle Province doveva, pertanto, inquadrarsi in un organico processo di riforma istituzionale chiamato a riconsiderare le stesse competenze della Regione, che per gran parte vengono esercitate, ancora oggi, nell’ambito di circoscrizioni provinciali.

Il Governo regionale ha, tuttavia, privilegiato un diverso approccio, determinato essenzialmente da esigenze di protagonismo mediatico, gettando nel caos le Amministrazioni provinciali siciliane con gravi disagi per taluni settori della vita sociale, come l’istruzione e le infrastrutture, o le società partecipate con ricadute sui cittadini.

Auspichiamo, quindi, che il dibattito di queste settimane possa ricondursi a minore improvvisazione e a maggiore senso di responsabilità senza rinunciare, a costo di riconoscere eventuali errori sin qui compiuti, all’esercizio di una seria attività legislativa che sappia anteporre il bene di tutti i cittadini a quello di interessi di parte. 

7. I giovani ed il lavoro

Non occorrono sofisticate analisi per comprendere quale sia l’attuale condizione, tristemente rappresentata dal 35,7% di Neet, giovani in età compresa tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non fanno formazione.

Auspichiamo vivamente, in questo campo, una radicale rivisitazione delle priorità politiche regionali, fondata sul riconoscimento delle nostre risorse umane quale primo e decisivo fattore di intervento per la crescita e lo sviluppo, per non alimentare sacche clientelari e per scongiurare un ennesimo fallimento.

La tormentata vicenda della formazione professionale sembra seguire, purtroppo, una direzione diversa. Alla doverosa denuncia di sprechi e malaffare consumati sul futuro dei nostri giovani, che Magistratura e Forze dell’Ordine stanno perseguendo con encomiabile decisione, ha fatto seguito un sostanziale vuoto di iniziativa. Valga per tutti l’esempio del progressivo depauperamento dell’esperienza di formazione professionale in capo ai Salesiani ed ad altre Congregazioni Religiose ed Enti che, fino ad oggi, ha sempre ottenuto riconoscimenti estremamente significativi sul mercato del lavoro, anche oltre i confini regionali, per la qualità dell’offerta e per i risultati conseguiti; continuando di questo passo l’anno prossimo si potrà scrivere solo la storia di queste istituzioni, prossime al collasso.

In una Regione con un bassissimo tasso di industrializzazione, investire sul capitale umano significa guardare al ruolo del sistema educativo e universitario. Ma anche in questo caso l’urgenza del quotidiano tende a diventare l’alibi per rinunciare ad una logica di più ampio respiro.

Eppure, tra le pieghe del nostro pur fragile apparato economico, possiamo scoprire gli esempi virtuosi di quanti hanno accettato e vinto la scommessa di intraprendere e di restare: come Chiese di Sicilia continuiamo a scommettere nella metodologia e profezia del Progetto Policoro, nel quale intendiamo investire con rinnovato entusiasmo e con nuove risorse.

Certamente esiste una grave questione sociale legata a forme storiche di lavoro precario rispetto alle quali non deve essere disconosciuta o tradita la dignità dei lavoratori. Tuttavia rifiutiamo con decisione l’idea che quella del precariato sia la sola politica del lavoro possibile in Sicilia stante la grave criticità finanziaria della Regione, che appare all’esterno come il perpetuarsi di una logica assistenzialistica. Il rischio elevatissimo rimane, infatti, quello di alimentare nuovi bacini clientelari, utili a gestire consenso piuttosto che promuovere interventi in grado di valorizzare percorsi educativi, risorse umane, merito e capacità d’intrapresa, anche a costo di qualche impopolarità. 

8. I costi della politica

Responsabili della cosa pubblica e partiti fanno, di questi tempi, della riduzione dei costi della politica un cavallo di battaglia. Questo impegno si deve fondare sulla sobrietà ed il decoro personale che impegna ciascun cittadino e amministratore e non può ridursi con generici proclami e mere denuncie.

Ridurre i costi della politica assume, oggi, una valenza etica prima che finanziaria, specie in un frangente in cui vengono compiute scelte di natura fiscale che incidono in modo pesantemente crescente sui bilanci di tante famiglie e di tante imprese. Incoraggiamo in questo senso l’Assemblea Regionale a proseguire coraggiosamente i passi compiuti di recente, così come vogliamo apprezzare anche le iniziative fatte in tale direzione da alcuni gruppi parlamentari.

Esiste un bisogno condiviso di moralità nella vita pubblica che chiama in causa il recupero di stili di vita, anche personali, improntati a sobrietà e misura, elementi necessari per restituire credibilità alle diverse Istituzioni che si rappresentano e senza i quali il servizio al bene comune si riduce a retorici appelli che sottendono, in realtà, ben altri interessi. 

In questa nostra riflessione non possiamo non riaffermare con forza l’assoluta e radicale incompatibilità del Vangelo con la mafia e la sub-cultura che ne deriva, come già fecero i Vescovi nel Documento Conclusivo delle Chiese di Sicilia ‘Nuova Evangelizzazione e Pastorale’ del 1993: ‘Tale incompatibilità con il Vangelo è intrinseca alla mafia per se stessa, per le sue motivazioni e per le sue finalità, oltre che per i mezzi e per i metodi adoperati. La mafia appartiene, senza possibilità di eccezione, al regno del peccato e fa dei suoi operatori altrettanti operai del Maligno. Per questa ragione, tutti coloro che, in qualsiasi modo deliberatamente, fanno parte della mafia o ad essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa, debbono sapere di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo e, per conseguenza, alla sua Chiesa’ (n. 12).

Nello stesso tempo, come insegna il martirio del Beato Giuseppe Puglisi, non possiamo ignorare un tema di scottante attualità come l’eclatante riproporsi di gravissime e inquietanti intimidazioni mafiose che sembrano riproporre il ritorno a cupe stagioni del passato.

La fermissima condanna di questo incedere minaccioso, unita alla più ampia solidarietà verso tutti coloro che ne sono purtroppo destinatari per la sola circostanza di compiere il proprio dovere come servitori dello Stato, è solo il primo passo in un cammino che tutti insieme siamo chiamati a compiere. Occorre consolidare, infatti, la comune coscienza di popolo forgiato all’insegna di quella tradizione ideale e d’impegno civile, tanto di matrice cattolica che laica, che parte così rilevante ha avuto nella storia della Sicilia. Un tratto molto importante di questa strada è stato percorso, in questi anni, anche grazie alla testimonianza di quanti hanno immolato la propria vita. Il loro sangue ha certamente generato nuova consapevolezza e nuova voglia di riscatto che non può indurci, tuttavia, ad abbassare la guardia. 

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Concludiamo affidando queste riflessioni, segno della nostra cura pastorale, della condivisa partecipazione alle difficoltà di tante famiglie siciliane e alle sofferenze dei più poveri e degli ultimi, alla responsabilità e all’impegno dell’intera comunità cristiana, così come di tutte le donne e di tutti gli uomini animati da una sincera passione per il bene comune, ancor necessaria per quanti sono chiamati a responsabilità pubbliche nella nostra regione.

Su di essa e su tutto il popolo siciliano, invochiamo grazia e benedizione dal Signore. 

Palermo, 19 febbraio 2014 

I Vescovi di Sicilia

Carlo Maria Martini. Il silenzio della parola

‘La figura del Cardinale Carlo Maria Martini continua ancora oggi a parlare a tutti, credenti e non-credenti, ma soprattutto – come amava dire Lui – a tutti i pensanti della città’. Così don Nisi Candido, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Metodio” ha introdotto nel salone Paolo Borsellino di Palazzo Vermexio, il libro di Damiano Modena “Carlo Maria Martini. Il silenzio della parola” (edizioni San Paolo, 2013).
Un’evento, promosso dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Metodio” con il patrocinio della “Fondazione Carlo Maria Martini”.
Sacerdote della diocesi di Vallo della Lucania, in provincia di Salerno, don Damiano è colui che si è sentito rivolgere dal Cardinale la domanda: «Te la senti di accompagnarmi fino alla morte?». E così è stato, per oltre tre anni, sino alla morte del Cardinale avvenuta il 31 agosto 2012. L’autore del libro aveva conoscito Martini nel tempo in cui stava preparando la sua tesi dottorale in Teologia dogmatica, sotto la direzione di mons. Bruno Forte, presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. La tesi, discussa nel 2004, aveva indagato i fondamenti spirituali, teologici e antropologici del magistero di Martini, che era stato arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002.
‘Nel libro si rimanda al loro successivo incontro, nel luglio 2003, a Gerusalemme – ha continuato don Nisi -. Qui il Cardinale si era ritirato dopo le dimissioni dall’Arcidiocesi di Milano nel 2002 per raggiunti limiti di età. Ma nel 2008 era stato costretto a rientrare in Italia per problemi di salute: don Damiano era già al suo fianco. La nuova dimora dei due sarà l’Aloisianum di Gallarate, in provincia di Varese, l’istituto dei Gesuiti che un tempo aveva ospitato il Filosofato ed ora accoglie soprattutto i padri anziani o malati’.
Alla presentazione del libro hanno presenziato anche Marisa Allevi e Marco De Lucchi, infermieri e fisioterapisti del Cardinale.
‘Il libro, scritto con maestria linguistica e profonda capacità di indagine interiore, attraverso episodi di vita ordinaria degli ultimi anni di Martini, racconta sulla sua visione del della fede, della cattolicità, della Chiesa, del mondo, dell’umanità – continua don Nisi candido -. Affetto dal morbo di Parkinson, il Cardinale ha messo tra parentesi quello che don Damiano
chiama il suo ‘pudore principesco’. Ma tra tutti gli effetti drammatici del Parkinson, quello che il libro mette a fuoco più da vicino è la perdita della voce: «La Pasqua 2010 segna l’arrivo del passo più difficile da fare. Consegnare alla storia il ricordo della propria voce. Farlo da morti è uno scherzo, la voce non è che parte del tutto. Farlo da vivi, farlo da uomini della Parola, è un’altra cosa» (pag. 35). Da qui anche il titolo del libro. Eppure i vari episodi di cui è colmo il libro mostrano spesso la capacità di Martini di ridere delle situazioni della vita e di ridere anche di sé: gradiva l’ironia perché manteneva uno sguardo giovane sulla realtà, sempre capace di stupirsi.Oltre alla vita ordinaria, ci sono storie uniche come quella dell’incontro in Vaticano con Papa Benedetto XVI, il 9 aprile 2011. Martini può presentare al Santo Padre le sue preoccupazioni ma soprattutto le sue speranza sulla Chiesa attuale. Quasi naturalmente l’epilogo del libro è riservato al giorno del funerale, il 1 settembre 2012, nel Duomo di Milano. È un lunedì piovoso, ma ad attendere il feretro ci sono almeno 15 mila persone, assiepate dentro e soprattutto fuori del Duomo’.

Carlo Maria Martini. Il silenzio della parola

Sabato 15 febbraio al salone Paolo Borsellino di Palazzo Vermexio, avrà luogo la presentazione del libro di Damiano Modena “Carlo Maria Martini. Il silenzio della parola”. L’evento, promosso dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Metodio” con il patrocinio della “Fondazione Carlo Maria Martini”, si celebrerà in concomitanza con altri eventi analoghi soprattutto a Milano (dove Martini è stato Arcivescovo) e Torino (città della sua famiglia: dove vivono la sorella e due nipoti). Alle ore 18.00 don Nisi Candido, direttore dell’ISSR San Metodio presenterà il libro e subito dopo interverrà l’autore. Don Damiano Modena è un sacerdote di Vallo della Lucania, in provincia di Salerno.
“La scelta della data non è casuale – ha detto don Nisi Candido -: si tratta del giorno del compleanno del Card. Martini, che avrebbe compiuto 87 anni. Il libro racconta soprattutto gli ultimi anni della vita di Martini, da quando l’autore lo ha conosciuto a quando il cardinale è morto il 31 agosto 2012. Il titolo del libro deriva dalla parabola del Parkinson, che ha costretto il cardinale a perdere progressivamente l’uso della parola. Ma il libro racconta soprattutto la testimonianza di chi ha potuto conoscere da vicino la fede di Martini sino agli ultimi istanti. Si intrecciano storie di vita quotidiana e grandi episodi, come gli incontri di Martini con Benedetto XVI. Il nostro ISSR sente molto forte l’ispirazione a Martini, soprattutto per il suo modo di intendere la Chiesa e la sua attenzione al dialogo con i non-credenti”.