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Riscoprire la gioia attraverso i Pink Floyd

Parlare della gioia tra riflessioni, musica e arti visive, nel quarantesimo anniversario del leggendario album dei Pink Floyd Wish you were here. Un’operazione non certo facile quella di don Nisi Candido, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze religiose “San Metodio”, a conclusione dell’anno accademico che il San Metodio ha voluto dedicare in tutte le sue attività collaterali al tema della gioia.
“La gioia – spiega don Nisi Candido – può essere pensata come la propria realizzazione individuale, o come la soddisfazione dei soli bisogni primari, o come il rapporto pacificato con gli altri e con l’ambiente circostante, o come la comprensione dei misteri più profondi della vita, come un dono dall’alto e così via”. Nella suggestiva location del cortile San Metodio di via della Conciliazione, la serata evento intitolata “La nostalgia di una gioia perduta”, con la collaborazione tecnica di Mariangela Maresca e Fabio Fortuna, ha riscosso un incredibile successo. La gioia riguarda ogni essere umano, credente o non credente e può essere affrontata da diverse prospettive. Wish you were here è frutto anche della nostalgia dei componenti della band 
per il drammatico allontanamento del primo leader. La gioia diventa così il frutto maturo, ma anche inatteso, di un percorso di vita problematico e misterioso, ma anche esaltante e duraturo. 
“Quando nella stanza intima della coscienza si formula la domanda «Sono veramente felice?», si attivano una serie di facoltà che contribuiscono alla risposta: la memoria, il realismo, la speranza, il coraggio. La scommessa – spiega don Nisi – è provare ad attivare queste facoltà ed altre ancora, camminando a piedi nudi sul tappeto offerto dalla musica dei Pink Floyd: la musica, più che le parole. Come è tipico della band la preferenza delle evocazioni suggerite dai suoni alle spiegazioni imposte dalle parole. Note che schiudono mondi anzi universi, e abbattono le barriere – il muro, direbbero i Pink Floyd – che ciascuno eleva intorno a sé impedendogli di comunicare e in definitiva di essere felice. Una musica universale nel senso di capace allargare gli orizzonti fino ai confini dell’universo, e totalizzante nel senso di coinvolgente dell’intera persona. La musica serve da ambiente per riflettere sul tema esistenziale della gioia: un ambiente familiare e stimolante come quello di questo cortile, il cui tetto è scoperchiato sull’universo per farci riflettere sul cielo stellato lassù come sulla nostra interiorità quaggiù”. 
La storia dei Pink Floyd inizia alla fine degli anni Sessanta in Inghilterra. “Tutto si può far iniziare nel 1966. Roger Waters, Richard Wright e Nick Mason sono tre giovani studenti della Facoltà di Architettura del Politecnico di Londra. A Waters, Wright e Mason si aggiunge presto Roger Keith “Syd” Barret, uno studente della Facoltà di Arte.Con Barrett la band cambia subito nome e prende quello di Pink Floyd, dai nomi di due musicisti americani Pink Anderson e Floyd Council”.
Don Nisi fa ascoltare “Atom heart mother suite” (ovvero la gioia come evoluzione). Poi “Echoes” (ovvero la gioia come armonia delle complessità): una piccola, “ma istruttiva lezione di vita, non c’è gioia senza l’armonia tra il senso dell’infinito e l’obbedienza al particolare; senza una rinuncia al consenso a tutti costi; senza il rischio di essere se stessi; senza il coraggio di cambiare ritmo”. 
Quindi è il turno di “Have a cigar” (ovvero la gioia di essere se stessi). “The dark side of the moon è stato definito “l’album perfetto”: nessuna traccia è sotto la linea della Arcidiocesi di Siracusa perfezione. Raggiunge il secondo posto nella classifiche inglesi e il primo in quelle americane dove resterà tra i primi cento per i successivi quindici anni. Un successo planetario che coincide con la consacrazione definitiva del gruppo. Ma la gioia vera è lontana dal venire. Potremmo dire così: la felicità non è un episodio, ma uno stato. La gioia vera deve fare i conti con lo sforzo di renderla una condizione radicata e stabile. Qui la gioia è la capacità di smascherare le lusinghe del mondo – soprattutto a quelle del denaro – e di non rimanere soffocati dalle aspettative malsane, per non rinunciare ad essere semplicemente se stessi”. 
E poi “Wish you were here” (ovvero la gioia come elaborazione dell’assenza). Quindi “Shine on you crazy diamond” (part VI – IX): “il “diamante impazzito” non può non far pensare a Barrett. Qui la gerarchia delle priorità sembra rovesciata: la musica non deve stimolare a correre, ma deve convincere a fermarsi. Solo così si può godere del fruscio del vento, della vista della luna, dello scorrere delle nubi, delle luci della città, delle montagne e delle valli, dei boschi e dei campi di grano, di un vulcano in eruzione, dei lapilli e del magma, dei pesci che sfiorano la barriera corallina e delle isole lontane, dei fiumi e delle cascate, del sole che sorge e tramonta dietro il mare. Aria, terra, fuoco e acqua. Qui la gioia passa attraverso la meditazione sulla bellezza del creato”. Infine “Shine on you crazy diamond” (part I- V). “Questa è la vera gioia: arrivare in alto e rimanerci, anzi provare a salire ancora. Non accontentarsi delle vette raggiunte; provare a rendere l’ascesa non una conquista occasionale, ma un atteggiamento stabile. Imparare a cambiare postura: dall’essere reclinati verso il basso, al guardare sempre in alto. Passare dall’esercizio muscolare della corsa in orizzontale, alla condizione sapienziale del silenzio profondo. Qui la gioia – se di gioia si può ancora parlare – è una condizione raggiunta a caro prezzo, sulle ceneri di un dolore che diventano fertilizzante. Una gioia che non è più nel diamante di cui avere nostalgia, ma nellavisione di un futuro nuovo. Forse anche la fede più che dei realisti è dei coraggiosi e dei visionari. E vengono in mente le parole della Lettera agli Ebrei: «La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1)”.

La nostalgia di una gioia perduta

Domenica 14 giugno, con inizio alle ore 21, nel cortile San Metodio di via della Conciliazione 6 a Siracusa, avrà luogo una serata evento intitolata “La nostalgia di una gioia perduta – a quarant’anni da Wish you were here”.
Un incontro a cura di don Nisi Candido, direttore dell’ISSR San Metodio, con un chiaro riferimento ai Pink Floyd ma nell’ambito del tema della gioia scelto quest’anno dal San Metodio.
 
 

Mons. Salvatore Garro rettore del Seminario

Mons. Salvatore Garro è stato nominato rettore del Seminario Arcivescovile di Siracusa. Il decreto è stato firmato dall’Arcivescovo di Siracusa, Mons. Salvatore Pappalardo, che ha comunicato la lieta notizia. L’insediamento avrà luogo il 15 agosto. 
Mons. Garro, che prende il posto di mons. Salvatore Caramagno, è stato già direttore spirituale del Seminario ed attualmente ricopriva l’incarico di vicario foraneo di Floridia e parroco della parrocchia San Francesco d’Assisi di Floridia.

Processione del Corpus Domini

 “Con la processione del SS. Sacramento per le vie della città, la Chiesa manifesta la propria missione, quella cioè di portare Cristo Gesù nel mondo, di annunciare il suo Vangelo a tutti gli uomini, di testimoniare la speranza che Egli, il Signore, ha acceso nel cuore di quanti credono in Lui e si fidano della sua Parola”. Così l’arcivescovo di Siracusa, mons. Salvatore Pappalardo, al termine della processione di ieri del Corpus Domini. Prima la celebrazione eucaristica alla Basilica Santuario della Madonna delle Lacrime, poi la processione fino al Pantheon.

“Perché l’Eucaristia sia effettivamente “fonte e culmine” di tutta la vita cristiana è necessario non solo ribadirne il principio, ma occorre anche che da essa traggano motivazione e ad essa siano finalizzate sia le attività pastorali delle comunità ecclesiali come anche la vita dei singoli fedeli – ha continuato l’arcivescovo -. Ora, mangiare “il pane spezzato” e bere “al calice dell’alleanza”,significa nutrirci realmente del Corpo e Sangue di Cristo, sacramento di redenzione e di comunione con Dio;da questa partecipazione all’Eucaristia scaturisce  l’impegno divivere la nostra vita alla maniera del Signore Gesù. Come Egli è venuto per servire e dare la sua vita per la salvezza degli uomini, così anche noi, suoi discepoli, che ci nutriamo della sua carne e del suo sangue, dobbiamo servire e donare la nostra vita per costruire nella giustizia e nella misericordia un mondo nel quale la dignità di ogni uomo è pienamente riconosciuta e rispettata; dobbiamo impegnarci a promuovere con le nostre scelte concrete la civiltà dell’amore, che ci fa sperimentare la gioia dell’unità, della solidarietà e della fraternità, e ci unisce tutti nell’unica famiglia di Dio”.
Ripensare la partecipazione all’Eucaristia ed trarne le opportune conseguenze per la vita quotidiana. 
“Nel prossimo mese di ottobre la Chiesa celebrerà il Sinodo sulla famiglia. Quale relazione tra Eucaristia e famiglia? Come vivere in pienezza il mistero eucaristico nell’ambito delle relazioni coniugali? Una risposta ed una precisa indicazione ci vengono offerte dal magistero del Papa san Giovanni Paolo II, il quale nell’Esortazione apostolica Familiaris consortio scriveva queste testuali parole: «L’Eucaristia è la fonte stessa del matrimonio cristiano. Il sacrificio eucaristico, infatti, ripresenta l’alleanza d’amore di Cristo con la chiesa, in quanto sigillata con il sangue della sua croce. L’8 dicembre prossimo Papa Francesco aprirà il Giubileo straordinario della misericordia. Quale rapporto tra Eucaristia e Giubileo? Come tradurre il mistero del pane “spezzato”  e del “calice dell’alleanza” nella prassi delle nostre comunità ecclesiali e nella nostra vita quotidiana? Anche a questa domanda possiamo trovare una risposta pertinente e precise indicazioni pastorali. Cito un paragrafo della Bolla con la quale il Papa indice il Giubileo: «In questo Anno Santo, potremo fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e sofferenza sono presenti nel mondo di oggi! Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi. In questo Giubileo ancora di più la Chiesa sarà chiamata a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e attenzione dovuta. Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo. E’ mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale».

Matrimonio a San Giovannello dopo 100 anni

L’ultimo matrimonio risaliva al 1915. A distanza di cento anni, la chiesa di San Giovanni Battista, alla Giudecca, cuore del centro storico di Ortigia, riapre ai matrimoni.
“Preparate le vie al Signore raddrizzate i suoi sentieri (Lc 3,4)” è il benvenuto che il parroco, don Flavio Cappuccio, ha voluto dare a tutti i residenti del rione, che hanno preso parte in maniera attiva alla riapertura della chiesa. In particolare si sono occupati della sistemazione dell’area presbiteriale. “Gli abitanti della Giudecca – ha detto don Flavio – si sono veramente impossessati della chiesa: hanno collaborato tutti, falegnami, operai, per sistemare l’area presbiteriale. La chiesa sarà adesso destinata in maniera permanente al culto”. 
Nel periodo estivo celebrazione eucaristica ogni sabato pomeriggio alle ore 19.00.

Umanizzare la politica

Venerdì 5 giugno alle ore 18.30, nella sala consiliare del Comune di Lentini, nell’ambito degli appuntamenti organizzati in vista del 5 Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, avrà luogo un incontro con il prof. Luigi D’Andrea del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’università di Messina su “Umanizzare la politica”.

Solennità del Corpus domini

Si celebra domenica 7 giugno la solennità del Corpus Domini. Alle ore 19.00 l’arcivescovo mons. Salvatore Pappalardo presiederà la solenne celebrazione eucaristica nella Basilica Santuario della Madonna delle Lacrime. Seguirà la processione che percorrerà la via del Santuario, piazza della Vittoria, corso Timoleonte, piazza Euripide, largo Gilippo, via Diaz, fooro Siracusano (piazzale del Pantheon).
“Carissimi fedeli – ha scritto l’arcivescovo mons. Pappalardo -, la solennità del Corpo e Sangue di Cristo fa risplendere l’amore infinito e misericordioso del Padre, che ci dona il suo Figlio, del Figlio che si fa pane spezzato per noi, dello Spirito Santo che ci santifica nell’unità della Chiesa. Soltanto nutrendoci del Pane eucaristico anche noi diventiamo pane spezzato per i fratelli che incontriamo nel nostro cammino e testimoni della fede, ad imitazione dei nostri tanti fratelli perseguitati perché cristiani”.

Riscoprire il dialogo con l’altro

 Il fenomeno dei migranti oggi è un segno dei tempi, e interpella credenti e non credenti a risolvere il problema della ospitalità e dell’accoglienza. Questo il punto di partenza del convegno ecumenico ed interreligioso, “Accogliamoci l’un l’altro – Amate il forestiero (Dt 10,19)”  all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Metodio”.
Accogliamoci l’un l’altro, interpellando i rappresentanti di diverse religioni, e pensatori laici, facendoli interagire in chiave interdisciplinare, sul piano etico, scientifico, religioso e politico, per una analisi maggiormente attenta e approfondita delle questioni aperte dal problema migrazioni e per garantire dignità a chi per svariati motivi, è costretto a rischio della propria vita a lasciare il proprio paese, nella speranza di trovare, “una terra promessa”.
Il problema in primo luogo, è politico, perché le società devono trovare risoluzioni per orientare e gestire movimenti così epocali. La Bibbia, non offre soluzioni a questo problema, ma sin dall’inizio da Genesi affronta il problema dello straniero. Un convegno per far memoria, a quasi tre anni dalla scomparsa di padre Arcangelo Rigazzi (1945/2012), sacerdote impegnato da sempre nell’accoglienza del diverso, dell’ultimo, dello straniero. E perché questo lembo di Sicilia è  terra di frontiera, costretta a vivere sulla propria pelle il dramma umano e le tragedie dei migranti. E’ oggi sempre più importante e urgente approfondire il problema, sia in ambito religioso che laico, in particolare se si considera che ogni giorno quasi ormai nell’indifferenza generale, si consumano immani tragedie con centinaia di morti. 
“La Bibbia ebraica – ha spiegato don Nisi Candido, direttore dell’ISSR San Metodio – usa tre termini per indicare “lo straniero”, o “forestiero” che, come diceva il Cardinale Martini, riflettono l’esperienza sofferta dei Figli d’Israele: «Tre termini nei quali si può leggere qualcosa dell’esperienza sofferta e dinamica di Israele e del cammino della rivelazione nel cuore di questo popolo»; zar lo straniero lontano, nokri, lo straniero di passaggio, gher o thosav, lo straniero residente. Il pensiero ebraico sullo straniero si evolve da negativo in positivo dopo l’esilio Babilonese verso il VI secolo a.e.v.. Il Nuovo Testamento, fa un ulteriore passo avanti, in Mt 25,35ss, Gesù dichiara: “Perche io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero un forestiero e mi avete ospitato[…]In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”, l’accoglienza dello del povero, dello straniero diventa una Imitatio Christi”.
Il convegno si è aperto con il saluto di mons. Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Siracusa. Impedimento dell’ultimo momento per Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro e Squillace, che ha voluto inviare un suo ricordo di don Arcangelo Rigazzi. “Il suo fu ministero di prossimità: verso gli immigrati, i forestieri, gli aramei erranti evocati nello Shemà Israel. Se la Chiesa è madre senza confini e senza frontiere, ovvero madre di tutti, non potrà che sforzarsi di alimentare la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, ovvero la cultura della prossimità. In questa cultura nessuno è inutile, nessuno fuori posto o da scartare da parte dei Paesi di approdo, come l’Italia. A questo riguardo, l’agire missionario e di prossimità di don Rigazzi a Cassibile trovò una comunità molto accogliente, composta da  persone perbene, dotate di alto senso di solidarietà, pur vivendo in un territorio già fortemente penalizzato da criticità  di amministrazione che colpivano soprattutto i meno abbienti. E tra essi i giovani. Ma l’immigrazione verso l’Europa comporta anche dei profili sociali, economici e politici. In merito, mi sembra che la questione più rilevante (alla quale anche la Chiesa è interessata e collabora) è quella d’instaurare una corretta politica per l’immigrazione. Come governare in maniera razionale il fenomeno dell’immigrazione, soprattutto stagionale? Queste domande di natura sociopolitica esistevano anche prima dei fenomeni migratori di massa di questi ultimi tempi”.
Quindi è intervenuto mons. Cristiano Bettega, direttore  dell’Ufficio Nazionale per il Dialogo Interreligioso: “Da anni si insiste sulla necessità che le religioni dialoghino tra loro. Bisogna che tutti ci impegniamo a riscoprire la vera motivazione che ci spinge al dialogo: il fondamento del dialogo ci porta direttamente al cuore della fede di ciascuno di noi. Il compito fondamentale di ogni fede è quello di educare l’uomo ad essere più uomo, cioè ad essere aperto al dialogo con l’Altro. Allora il dialogo non è una dimensione della fede, il dialogo è la fede, è una sorta di vera e costante conversione alla propria fede. Legata a questa, una seconda sfida: sostenere la conversione. E parlare di conversione non può e non deve essere mai rivolto all’altro, come a dire che l’altro deve cambiare il suo modo di porsi e di pensare; devo essere sempre io il primo a convertirmi, ciascuno di noi deve riconoscere la necessità di essere in continuo stato di conversione. Poi il dialogo credo sia chiamato a sostenere la verità dell’uguaglianza di tutti: sulla base di Gen 1,26, secondo cui ogni uomo è creato a immagine e somiglianza del Creatore. E qui si apre una strada senza fine: perché riconoscere che la persona che ho di fronte prima di appartenere alla mia stessa fede o a una fede altra dalla mia o a nessuna fede, appartiene a Dio. Questa uguaglianza però non può essere globalizzazione: per questo il dialogo credo sia chiamato a sostenere la diversità, a volte anche la contraddizione presente tra le diverse fedi. E allora credo che qui si intravveda quale sia la sfida più urgente per la Chiesa, per ciascun cristiano: la sfida cioè di sostenere la testimonianza. Seguire il Vangelo, seguire Gesù di Nazareth per i cristiani non è un fatto di tradizione culturale, geografica, ambientale. È scelta di vita, da rimotivare ogni mattina, da verificare ogni sera, da tradurre in ogni gesto. Lo stile del Vangelo, stile di rispetto, accoglienza, riconciliazione, servizio, amore: questo stile di Vangelo è la possibilità che tutti coloro che incontriamo entrino in contatto con la Chiesa e con Gesù Signore, e quindi con la sua salvezza. Incontrare un credente convinto, disposto a tutto per amore, non lascia indifferente nessuno. E appunto l’ultima sfida per il dialogo oggi credo sia proprio quella di sostenere il Mistero; che in altre parole è l’apertura verso un Dio che posso intuire, mai comprendere; un Dio che non ha volto ma si fa riconoscere nel volto dell’altro, di modo che proprio l’altro diventa il luogo in cui io posso incontrare Dio”.
La parola è passata a Daniele Garrone, pastore Valdese; Gianpaolo Anderlini, Biblista; Marco Mazzeo, componente dell’Ufficio Ecumenismo e Dialogo Interreligioso dell’Arcidiocesi di Siracusa; Bruno Segre, ricercatore e operatore culturale indipendente. Mostafa El Ayoubi, caporedattore di Confronti, ha evidenziato: “Noi viviamo in un villaggio globale, dove c’è una distanza tra persone che appartengono a culture e religioni diverse: vivono accanto all’altro, ognuno però con i propri pregiudizi e preconcetti, disattendendo gli insegnamenti della propria fede. Il Corano dice che bisogna rispettare l’altro o lo straniero in terra islamica. Ma basta pensare alla situazione catacombale dei cristiani in Arabia Saudita contraria alla religione islamica. Il profeta raccomanda il rispetto dell’altro. “Chi uccide straniero il terra musulmana non sentirà mai l’odore del paradiso” dice un detto. L’estremismo islamico detto anche jihadismo con atti di violenza nei confronti dell’altro dimostrano che una parte della realtà islamica non è in grado di rispettare i dettami della propria fede. Questo vale anche per la religione cristiana. In Europa arrivano centinaia di migliaia. Dei cinque milioni di immigrati presenti sul territorio italiano, il 33 per cento è di religione islamica. Spesso le politiche di integrazione sono inadeguate all’insegnamento dei cristiani”.
Brunetto Salvarani, teologo e biblista, direttore della rivista QOL, ha ricordato: “Oggi dobbiamo rileggere il Vangelo alla luce dei segni dei tempi, come diceva Giovanni XXIII. Un segno dei tempi è la società pluralista e per alcune zone dell’Italia questa nuova accoglienza di stranieri mette a dura prova e ci chiede di prendere sul serio il Vangelo. E’ una sfida importante e ineludibile. Io vedo il prevalere di una cultura individualista e chiusa nell’altro che è il segno di questa società malata e con molti problemi. Non prendiamo sul serio il Vangelo, non lo conosciamo e non lo leggiamo: Gesù è chiarissimo in Matteo. Arriva a sostenere che la questione di fondo è dare da mangiare agli affamati, indipendentemente dalle appartenenze e dalla caselle ideologiche. Il servizio verso l’ultimo. Se noi conoscessimo il Vangelo vinceremmo la paura che è un dato antropologico che oggi c’è ed e diffusa, quindi non c’è da scandalizzarsi. Gesù ci invita a vincere la paura”. Ancora gli interventi di Giuseppe Mazzotta, direttore dell’Ufficio diocesano Apostolato del mare; e Raffaello Zini della redazione di QOL. Infine don Luigi Corciulo, neo direttore dell’Ufficio diocesano per le migrazioni, ha sottolineato l’azione della Chiesa in figure come quella di don Rigazzi: “Questa è un’ opportunità per valorizzare l’azione della Chiesa e di un prete che è stato esempio. Ha iniziato l’accoglienza aprendo la sua chiesa. Facendo in modo che fosse dettata dal Vangelo. Un’occasione per educarci ad un’accoglienza che dovrebbe essere impronta del nostro essere cristiani e poi ad una convivenza che diventa capacità di conoscerci ed accettarci.  Purtroppo facciamo fatica ad accettare chi è diverso da noi, anche chi ha orari diversi per mangiare o per pregare, perché guardiamo solo al nostro quotidiano”.
L’incontro è stato organizzato da tre uffici pastorali dell’Arcidiocesi di Siracusa (l’Ufficio diocesano per le migrazioni, l’Ufficio diocesano per l’Apostolato del mare, l’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso) e dalla rivista di studi biblici ed ecumenici QOL, e promosso dall’Unedi (Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso) e dall’Uredi (Ufficio regionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso).

Accogliamoci l’un l’altro

“Accogliamoci l’un l’altro – Amate il forestiero (Dt 10,19)” è il titolo del convegno ecumenico ed interreligioso, che si svolgerà martedì 2 giugno a partire dalle 9.00 all’Istituto di Scienze Religiose “San Metodio” di via della Conciliazione, organizzato da tre uffici pastorali dell’Arcidiocesi di Siracusa (l’Ufficio diocesano per le migrazioni, l’Ufficio diocesano per l’Apostolato del mare, l’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso) e dalla rivista di studi biblici ed ecumenici QOL. È promosso dall’Unedi (Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso) e dall’Uredi (Ufficio regionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso). Il fenomeno dei migranti oggi come in altre epoche storiche è un segno dei tempi, e interpella credenti e non credenti a risolvere il problema della ospitalità e dell’accoglienza.
Il Convegno mira a verificare come le varie religioni e il pensiero laico sentono oggi il problema dello straniero, del diverso, dell’altro, e quali soluzioni propongono, per facilitare un cammino di comprensione e di convivenza pacifica in un mondo più vivibile, perché i processi migratori in atto sono uno degli elementi che pongono in modo nuovo la questione dell’incontro con lo straniero.
Un convegno per far memoria, a quasi tre anni dalla scomparsa di padre Arcangelo Rigazzi, sacerdote impegnato da sempre nell’accoglienza del diverso, dell’ultimo, dello straniero

Giornata del ministri straordinari

Avrà luogo martedì 2 giugno, presso la cripta della Basilica Santuario “Madonna delle Lacrime”, la tradizionale giornata diocesana dei Ministri Straordinari della Santa Comunione.  
Il direttore dell’Ufficio liturgico diocesano, don Massimo Di Natale, ha reso noto che l’incontro seguirà il seguente programma: alle ore 9.15 l’accoglienza dei partecipanti; alle ore 9.30 celebrazione dell’ora media; alle ore 11.30 celebrazione Eucaristica presieduta dall’arcivescovo mons. Salvatore Pappalardo e riflessione su Eucaristia e servizio della carità tenuta da mons. Sebastiano Amenta, vicario generale dell’Arcidiocesi. Seguirà l’adorazione Eucaristica silenziosa; ed il conferimento del mandato ai nuovi ministri straordinari della Santa Comunione.