Il rapporto tra giustizia e perdono. Il perdono responsabile o la cosiddetta “giustizia riparativa”, che propone percorsi concreti di riconciliazione anche per persone che si sono rese colpevoli di crimini gravi. Questo il tema della prolusione tenuta da Gherardo Colombo, magistrato, protagonista della stagione di Tangentopoli, con l’inchiesta Mani Pulite, ma anche di altre inchieste celebri che hanno segnato la storia contemporanea d’Italia, all’inaugurazione dell’anno accademico 2015/16 dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Metodio”. Prima la concelebrazione Eucaristica presieduta dall’arcivescovo mons. Salvatore Pappalardo, poi la prolusione di Gherardo Colombo alla quale è seguita la presentazione dell’anno accademico da parte del direttore dell’ISSR don Nisi Candido.
Colombo, che dal 2007 ha lasciato la magistratura, si dedica alla sensibilizzazione civile su temi etici come la legalità, la responsabilità civile, i valori della Costituzione, la democrazia. “L’ISSR San Metodio – ha spiegato il direttore dell’ISSR don Nisi Candido – dedica questo anno accademico al tema “pensare il perdono”. La scelta si pone in sintonia con l’indizione dell’imminente Anno giubilare della Misericordia da parte di Papa Francesco. Il perdono è un tema tipicamente evangelico e religioso, ma ha anche una ricaduta laica, sociale, antropologica”.
“Premesso che chi è pericoloso deve stare da un’altra parte, non in mezzo alla società civile – ha affermato Gherardo Colombo – è comunque interesse della cittadinanza che le persone che abbiano commesso un reato vengano recuperate piuttosto che escluse. Ma questo, oggi, non succede. Si può educare al bene attraverso il male? Quali sono le alternative alla punizione e alle pene tradizionali?”. Queste le domande che hanno guidato Colombo. Che ha continuato: “È un metodo sbagliato cercare di educare una persona facendole del male – ha esordito Colombo -. Il nostro sistema detentivo non permette di recuperare nella società chi ha commesso dei crimini, ma fa maturare, con le privazioni che infligge, sentimenti di aggressività verso gli altri esseri umani, che portano il 68% dei carcerati a ricommettere un reato una volta ottenuta la libertà: questo va anche a discapito dei cittadini che non si sentono sicuri una volta che questa gente esce di prigione. La giustizia è una parola ambigua: perché significa amministrazione della giustizia ma è anche un punto di riferimento, un valore. Il perdono è una disponibilità a recuperare le relazioni in generale. Purtroppo noi pensiamo che il male si affronta attraverso la restituzione del male. Ma il male si ferma proprio quando non lo restituiamo”.
Chi è affidato ai servizi sociali torna a delinquere una volta su cinque. In Italia ci sono 56 mila detenuti. E la condizione è di 4 persone in una cella di 12 metri quadrati. “Prima delle leggi e delle regole viene la cultura – ha detto Colombo -. La Costituzione ci parla di un modello educativo diverso da quello che usa grandemente la punizione come strumento di correzione, quello dell’educazione all’obbedienza. La Carta invece richiede un’educazione alla responsabilità. Ma se il male non serve per correggere il male, e se tutte le persone hanno uguale dignità in quanto esseri umani, a prescindere dagli atti che commettono, allora occorre trovare una soluzione alternativa per combattere il male, occorre combattere il male con il bene, garantendo la sicurezza dei cittadina senza ledere la dignità del reo. Una soluzione possibile – ha concluso Colombo – è la pena riparativa, che mette a confronto la vittima con il condannato, nella ricerca di possibili soluzioni agli effetti dell’illecito e nell’impegno concreto per la riparazione delle sue conseguenze. In tal modo la vittima si vede riconosciuta e riesce ad avere un risarcimento morale, mentre il reo prende atto delle sue responsabilità e pone in essere le azioni necessarie a ricomporre il confitto e a rafforzare il senso di sicurezza collettivo. Purtroppo l’Italia ha ancora molto lavoro da fare in questo campo, ma sono fiducioso che con il tempo si potrà applicare».