Viviamola, amiamola, aiutiamo gli altri a vivere la vita

“Ci sono due immagini usate da Gesù per designare i discepoli e la Chiesa: «Voi siete il sale della terra» e «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,14). Il sale è simbolo della vita, perché esprime vigore e vitalità. E la seconda immagine: «Voi siete la luce del mondo». La luce è simbolo di vita, di gioia, di felicità. In maniera particolare la luce è legata alla vita, fino ad identificarsi con essa. Nella lingua italiana le espressioni “dare alla luce”, “venire alla luce” e “vedere la luce”, significano tutte nascere, e quindi esistere e vivere”. Così l’arcivescovo di Siracusa, mons. Francesco Lomanto, nella sua omelia alla messa in Cattedrale per la 45a Giornata Nazionale per la Vita. “La morte non è mai una soluzione” è il tema scelto dalla Conferenza Episcopale Italiana che ha invitato ad una riflessione etica sulla vita in tutte le sue manifestazioni.
“Sentire, ascoltare, vivere ci aiuta. In questi tempi difficili siamo chiamati ad operare insieme per essere più forti. La vita viviamola, amiamola,  diffondiamola, aiutiamo gli altri a viverla – ha detto l’arcivescovo di Siracusa -. Viviamo fino in fondo anche attraverso la morte che non è solo la conclusione della nostra esistenza ma anche la quotidianità che viviamo, come quando ci lascino delle persone care. Viviamola bene e viviamo la vera vita, quella che non finisce mai. La vita eterna che ci accompagnerà sempre. Portiamo l’impegno a vivere con passione la vita, sostenere gli altri soprattutto quando si presentano casi di disperazione: portiamo la parola della speranza che è la parola della vita. Dio è morto in croce per rendersi più vicino a noi. Quando facciamo l’esperienza della morte ci accostiamo al mistero della vera vita”.
Prima della celebrazione, una colorata passeggiata di adulti e bambini da piazza Minerva a piazza Duomo e poi l’incontro nella Cattedrale con alcune testimonianze introdotte dai responsabili della Pastorale della famiglia in Arcidiocesi, mons. Salvatore Marino, e Maria Grazia e Salvatore Cannizzaro. “La famiglia è il luogo della custodia della vita, dove si genera la vita, dove si sperimenta l’esperienza della malattia e della morte – ha detto il diacono Salvatore Cannizzaro -. Ci colpisce positivamente l’uso della parola morte inserita nel tema della giornata, una parola dalla quale si vuole fuggire, trovando parole o frasi alternative. Mai la morte è una soluzione! Per noi cristiani l’esperienza della morte, vissuta come la fine naturale dell’esistenza, è parte integrante della vita stessa. Siamo chiamati a stare accanto alle persone sofferenti, ammalate, sole, morenti, dando loro conforto e consolazione, speranza, fino all’ultimo respiro, con com-passione”. Il responsabile della pastorale della famiglia ha ricordato che quest’anno ricorre il 70esimo anniversario della lacrimazione della Madonna a Siracusa: “L’evento della lacrimazione si realizza all’interno del contesto familiare, nell’abitazione di due giovani coniugi, Angelo Iannuso e Antonina Lucia Giusto; Antonina, in attesa del primo figlio, aveva una gravidanza difficile, con ricorrenti abbassamenti della vista. Ai giorni d’oggi, in queste particolari situazioni, sarebbe facile intraprendere la soluzione estrema dell’aborto. In quest’anno di grazia vogliamo cogliere l’opportunità per celebrare il dono della vita, portando in ogni luogo e in ogni situazione, fino alle periferie più estreme”.
E’ iniziata con un ricordo la riflessione di Salvo Sorbello, presidente del Forum delle associazioni familiari della provincia di Siracusa: la grande marcia nel 1990, “quando circa 5mila persone marciarono dalla piazza delle Poste fino alla Cattedrale per testimoniare il loro impegno, la loro volontà di non far vincere una cultura libertaria che aveva spinto, per arrivare alla legge sull’aborto, una cultura libertaria centrata sull’autodeterminazione a scapito della vita nascente. Quando ci troviamo di fronte ad una ad una maternità imprevista, ad una malattia molto grave, ai conflitti familiari a quelli che possono essere anche il male di vivere dei nostri giovani o di anziani o disabili lasciati soli. Non bisogna mai cedere alla disperazione e non bisogna mai pensare che sia la morte la soluzione più appropriata. Purtroppo nella nostra Regione – ha concluso Salvo Sorbello – c’è soltanto un hospice pediatrico di quattro posti letto a Catania destinato i bambini che si trovano di fronte a situazione difficile non avendo più possibilità di guarigione. Non è accettabile che questi bambini e le loro famiglie vengono posti di fronte a situazioni così drammatiche e lasciati soli”.
Della morte come un tabù ha parlato Giovanni Moruzzi, Responsabile UOSD Hospice Cure Palliative ASP Siracusa: “Quando 33 anni fa ho cominciato ad occuparmi di malati oncologici inguaribili” ho potuto constatare che “fino a quando era possibile fare qualcosa sulla malattia c’era l’attenzione di tutti. Quando non c’era più nulla da fare improvvisamente si perdeva l’attenzione della persona. Le cure palliative sono quell’attenzione. Le cure palliative sono scandalo della scienza. E sono il futuro della scienza allo stesso tempo. Perché portano la scienza nella dimensione umana.  La vita vale perché è vita. E’ necessario allora trasformare un tempo di malattia che mi porta alla morte non come un tempo di attesa, ma come un fondamentale tempo di vita, relazione e di scambi, di possibilità di un lascito o un ricordo anche al nipote che non ha mai visto. C’è un’idea della sofferenza nell’aspetto fisico, psicologico e socio familiare”. Ma quella che si perde è la dimensione “di senso e significato, cioè la dimensione spirituale. Le principali richieste di eutanasia nascono dalla perdita del significato e del senso”.
Ed ha portato la sua personale esperienza anche Donatella Piccione, direttrice Casa di Riposo Sant’Angela Merici di Siracusa: “Ogni giorno dobbiamo essere all’altezza di rispondere ai bisogni delle persone che bussano alle nostre porte, di tutte le persone, senza distinzione alcuna, a partire proprio dai più fragili e deboli, da coloro che costituiscono le periferie esistenziali. Nelle strutture della Fondazione Sant’Angela Merici la persona non è solo accolta, curata o guarita: ma è “rigenerata” con amore. Rigenerata anche quando si presenta il momento di dovere accompagnare le persone anziane alla morte, dove lo sforzo per donare sollievo, speranza e consolazione all’anziano morente, diventano la priorità; dove l’attenzione è rivolta anche a dare coraggio e sostegno ai familiari. Ogni giorno mi accorgo che i nostri ospiti mi aspettano con affetto. Il loro sorriso e il loro sguardo mi danno la forza necessaria per affrontare la giornata lavorativa che, a volte, è molto pesante perché si cammina tra la sofferenza. Posso dire che con loro sperimento le parole di San Francesco: “è dando che si riceve”.
Infine Teresa Burgio dell’Unitalsi, l’associazione cattolica che si dedica al servizio degli ammalati e delle persone disabili, soprattutto, per accompagnarli a Lourdes e nei vari santuari italiani e internazionali. “Ne faccio parte da quando avevo 15 anni, ero stata promossa a scuola e un mio cugino mi volle regalare una vacanza alternativa, ovvero, una vacanza con l’Unitalsi alla Villa San Metodio a Canicattini Bagni, diciamo che mi ha fatto un regalo per tutta la vita, perché da quel momento l’associazione è diventata parte integrante della mia vita. L’anno successivo anche mia sorella e mio fratello hanno iniziato questo servizio, che con gli anni è diventato rapporto di amicizia, con le persone che avevano bisogno delle nostre mani, dei nostri piedi e della nostra voce. Non pensavamo che la disabilità arrivasse anche a casa nostra ed, invece, è arrivata con Elena. Elena è mia nipote, la figlia di mio fratello, una bambina di 15 anni, tetraplegica e non parla, ma attraverso la sua mimica facciale ci trasmette le sue emozioni. Penso che il Signore ci abbia fatto conoscere l’associazione per prepararci ad accogliere Elena, non è una situazione facile, per le sue condizioni di salute, per l’organizzazione quotidiana, ma grazie alla fede la viviamo come dono. Lei è certamente la persona più importante della nostra famiglia, Elena non saprà mai quanto amore è in grado di donare un suo sorriso, non saprà mai che la sua presenza è grazia e, non saprà mai, che grazie a lei, comprendiamo che la vita vale sempre la pena di essere vissuta”

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