Lo ha scritto mons. Francesco Lomanto nel suo messaggio al mondo della scuola

“Una società che non vede nell’altro il fine è fallita”

“Il mio animo è turbato dalle tante notizie che si rincorrono circa violenze usate da minori verso altri minori, da ragazzi che, magari condividono gli stessi banchi scolastici e, poi, si ritrovano ad essere aguzzini e vittime di crimini efferati. Una società che non vede nell’altro il fine, ma solo il mezzo – magari per il soddisfacimento dei più biechi istinti e per l’affermazione della forza del “branco” su una “preda” – è una società fallita, perché ha perduto ogni riferimento antropologico, nonché il senso proprio dell’essere comunità”. Lo scrive mons. Francesco Lomanto, arcivescovo di Siracusa, e delegato per le Comunicazioni sociali e la Cultura della Conferenza Episcopale Siciliana, nel suo messaggio inviato al mondo della scuola all’inizio dell’anno scolastico.
“La comunità di cui tutti facciamo parte deve avere come obiettivo principale il perseguimento del bene comune; quando, invece, uno fra noi s’impone con la forza sull’altro, si ha la frustrazione del nostro vivere insieme”.
L’arcivescovo si è rivolto agli educatori della comunità scolastica: “incoraggio e supporto l’opera di tutti gli operatori nel mondo dell’educazione di bambini, ragazzi e giovani. Abbiate sempre presente che l’opera cui vi dedicate non è solo vostra, ma prima d’ogni cosa è di Colui il quale si è fatto uomo perché gli uomini «abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10b)”.
Mons. Lomanto lo scorso anno aveva sottolineato l’importanza della missione educativa della Scuola segnalando “che tirar fuori il meglio che c’è in ogni uomo dev’essere l’intenzione di ogni impresa educativa”. E nel suo messaggio quest’anno, rivolgendosi agli studenti e alle studentesse, ha augurato di poter “godere di questa abbondanza e pienezza di vita, rendendovi conto che vivere nel rispetto dell’altro è ciò che rende veramente uomo un essere umano. Nella Seconda lettura di Domenica scorsa abbiamo letto «non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole» (Rm 13,8). Di questa “civiltà dell’amore” – di cui il Santo Papa Paolo VI spesso parlava – dovete voi, ragazzi, essere gli edificatori e i cittadini. È quanto mai necessario riconoscere l’amore di Dio per noi e, in questo amore, stringere tutti in un ideale enorme abbraccio – iniziando da chi ci è più vicino per giungere sino agli estremi confini della terra – per costruire una società in cui non alberghino soprusi e iniquità, ma trionfi la pace e la giustizia”.
condividi su