Fatica e dolore, paura, malattia e, talvolta, morte; ma anche solidarietà e vicinanza concreta, preghiera e impegno fattivo: sono i tratti della Sicilia e della sua Chiesa al tempo difficile del Covid. Ormai tutti abbiamo conosciuto il virus da vicino: c’è chi lo ha incontrato personalmente, chi conosce qualcuno che lo ha avuto o ne è rimasto vittima, chi proprio in questo momento lotta per la propria salute e chi è sulla via della guarigione. C’è anche chi accompagna i malati e le famiglie con la preghiera e chi si spende in prima persona.
Mons. Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, ha affrontato e vinto il virus nella sua prima ondata di attacco. Ci sono parrocchie e istituti che hanno dovuto affrontare la quarantena, chiudendo a fedeli ed utenti.
Il numero dei sacerdoti della sua diocesi contagiati dal Covid ha spinto il vescovo di Ragusa, mons. Carmelo Cuttitta, a scrivere un messaggio a loro e ai fedeli, manifestando “vicinanza in questo momento così difficile e impegnativo”, raccomandando di ricordare nella preghiera “tutti i confratelli che si trovano in una condizione di positività al Covid-19” e, soprattutto, “coloro che attualmente sono ricoverati in terapia intensiva” e chiedendo ai sacerdoti di “affrontare questa situazione contingente con determinazione e responsabilità”.
La voce di due sacerdoti: la testimonianza di un medico cappellano in un reparto Covid e l’esperienza di malattia di un parroco, responsabile della Pastorale giovanile.
Don Mario Torracca, sacerdote e medico, direttore dell’Ufficio per la Salute della Conferenza episcopale siciliana, fin dal primo momento i cui il virus ha raggiunto la nostra terra e la gente di Sicilia, è stato impegnato all’interno del Reparto Covid dell’Azienda ospedaliera Cannizzaro di Catania in qualità di cappellano.
“Ci risiamo… Pensavamo di esserci lasciati alle spalle i segni della sofferenza e della morte provocati dal Sars Cov2 a marzo scorso, ma in realtà ancora non avevamo compreso che quel terribile ed invisibile nemico, seminatore di morte, era pronto a sferrare un attacco ben più terrificante del primo. E mentre il mondo si divide in due tra chi nega l’evidenza, mettendo in atto comportamenti irresponsabili nocivi non solo a loro, ma anche agi altri, e in chi, per timore del contagio, si chiude in casa estraniandosi dal resto del mondo, tra questi, quasi a far da spartiacque, un piccolo esercito di uomini e donne che, pur temendo per se e le loro famiglie, si prodigano per aiutare coloro che sono colpiti da questa brutta malattia: penso ai tanti medici, infermieri, operatori sanitari che ogni giorno rischiano la vita ma danno testimonianza di serietà, senso del dovere e coraggio. Tra questi mi permetterete di annoverare anche i tanti cappellani ospedalieri che offrono il loro ministero accanto al malato con amore e generosità. Certo anche noi cappellani, pur abituati alla sofferenza, alla malattia ed alla morte, siamo rimasti spiazzati dagli effetti devastanti di questa brutta pandemia, non solo per gli effetti che provoca nel corpo ma direi a quelli invisibili ma altrettanto devastanti che provocano nell’anima,nei sentimenti e negli affetti. Come descrivere, senza rimanere turbati, i volti dei malati che giornalmente incontro nei reparti Covid del mio ospedale: volti impauriti per la malattia, addolorati perché strappati dai loro affetti familiari, impossibilitati a ricevere visite. Chi ha fatto esperienza di un reparto di semintensiva o intensiva sa come il tempo sembra non scorrere mai, e la paura, lo scoraggiamento prendono il sopravvento. Il cappellano ospedaliero è l’unico che può andare a visitare i malati di Covid per rivolgergli una parola di conforto e di fede. Spesso mi capita di fare da “messaggero”: i parenti vengono in cappella pregandomi di portargli un loro messaggio, un gesto di affetto.
Ed ecco che comincia così la mia giornata al tempo di Covid: preghiera in cappella e poi subito nell’Area Covid dove ha inizio… la vestizione: tuta ermetica, primo paio di guanti, calzari a stivale, mascherina FP2, sopra mascherina chirurgica, altro paio di guanti, visiera in plastica trasparente, ed infine al collo un’insolita pisside monouso… un sacchettino ricavato dal lenzuolino sterile confezionato in cappella che contiene una sola particola, da cestinare subito dopo aver dato la S. Comunione ad un malato Covid.
Quindi la visita in ogni stanza per scambiare qualche parola, se possibile, fare una preghiera insieme e impartirgli la Benedizione… un’interminabile Via Crucis, mentre respiri a fatica così bardato, quasi irriconoscibile se non fosse per quella Croce che gli infermieri che, con amore e rispetto, ti disegnano sulla tuta per far capire che sei un prete.
Finito il giro dei malati occorre anche far sentire la vicinanza al personale, celebrando con loro un breve momento di preghiera e impartendo anche a loro la Benedizione.Poi il momento più pericoloso: la svestizione… basta un niente, una distrazione e ti sei beccato il Covid! E allora con calma inizia quasi un rito che gli “esperti del reparto di Malattie Infettive” ti hanno con tanto affetto e preoccupazione insegnato.Poi il momento più triste, la visita in obitorio, ancor più triste essere costretti a benedire le salme rigorosamente sigillate sulla strada perché ai familiari non è consentito entrare dentro. Quanta sofferenza.I familiari si sono visti portare il loro caro in ambulanza e poi non lo hanno più visto… neanche per l’ultimo saluto. Straziante!La mattinata si conclude con la celebrazione eucaristica in cappella dove, insieme a familiari e personale continuiamo a pregare per i nostri malati.
Qualcuno a volte mi chiede: ‘Ma non hai paura ad entrare nell’area Covid?’Certo che anche noi cappellani abbiamo paura, ma la gioia e l’amore che mettiamo nel nostro ministero ce la fa superare.
Credo, anzi che in questa emergenza, possiamo testimoniare fattivamente ciò che da anni, anche come Uffici di Pastorale per la Salute delle nostre diocesi, abbiamo affermato con forza: la presenza dell’Assistenza religiosa negli ospedali non è un optional, un servizio in più, ma è parte integrante ed imprescindibile nel cammino terapeutico di un malato e quindi il cappellano, pienamente inserito nel tessuto ospedaliero è a pieno titolo parte dello staff sanitario ospedaliero.
In tale contesto, sono convinto che ci giochiamo la nostra credibilità di Chiesa incarnata nel tessuto sociale e, per dirla col le parole di Papa Francesco, nelle periferie esistenziali”.
Don Gaetano Gulotta, sacerdote dell’arcidiocesi di Monreale e direttore dell’Ufficio regionale per i Giovani, ha annunciato con un messaggio sui social si essere stato colpito dal Covid. Ancora sui social adesso, in fase di guarigione, offre la sua testimonianza.
“Molti pensano che il virus Covid-19 sia frutto di qualche complotto mondiale. Vi assicuro che chiunque contrae il virus con dei sintomi il vostro corpo entra in guerra che potresti vincerla o perderla nei casi di aggravamento. Prima la febbre, poi dolori che ti attraversano il corpo, dolori intestinali, nausea, perdita dell’olfatto, confusione mentale, tosse, bruciore agli occhi, ti senti il petto che ti schiaccia come se avessi un camion sulla cassa toracica, poi comprendi sempre più che il tuo corpo è completamente in guerra con un nemico invisibile che non vedi ma senti. Questi sono i sintomi che ho avuto in questi giorni.
Molti mi hanno chiesto come l’abbia contratto o in che luogo, altri invece fanno supposizioni di chi sia stato l’untore a farti diventare untore. Il virus c’è, esiste, gira per la nostra comunità e nonostante tutte le precauzioni lo si può beccare, basta pensare ai medici, agli operatori sanitari nelle corsie con gli ammalati Covid-19. Forse questi nostri eroi non usano tutte le precauzioni possibili per non infettarsi? Eppure molti si infettano perché esposti. Una precauzione che consiglio: girare di meno a zonzo senza una vera causa, perché la pandemia infurierà ancora di più, e non possiamo poi cercare il responsabile, perché l’unico responsabile è la persona di come ha rispetto per sé stesso e gli altri. Ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini in questi giorni difficili, ma pieni di affetto e cure. Ringrazio il Signore per questa comunità di Piano Maglio e Villaciambra, per come si stretta al proprio pastore. Adesso sono in fase di guarigione. In attesa di tornare al mio Ministero pubblico, vi benedico dal profondo del cuore”.
(Da ChiesediSicilia.org)