La tradizione popolare
Narra la tradizione che Lucia era una giovane siracusana, orfana di padre. La madre Eutichia, non risposatasi, era ammalata di flusso di sangue e per questo assistita amorevolmente dalla figlia. Le due donne, dette di nobili origini, sarebbero vissute nel benessere grazie al cospicuo patrimonio ereditato ed amministrato da Eutichia.
La giovane Lucia, immaginata come cugina della martire catanese Agata, si sarebbe recata insieme alla madre e a un gran numero di siracusani, presso il sepolcro di Agata per impetrare la grazia della guarigione di Eutichia. Ottenuta la grazia, dopo aver visto in sogno Agata, Lucia fece voto di verginità e di povertà. Qui la tradizione popolare aggiunge un particolare che è diventato nel tempo forse l’aspetto più conosciuto della biografia di Lucia: per accontentare un pretendente che si era invaghito di lei perché affascinato dalla bellezza dei suoi occhi, Lucia se li cavò e gliene fece dono ricevendone per grazia altri due, più belli di quelli dei quali si era privata.
Dopo un certo tempo la giovane sarebbe stata denunciata come cristiana dallo stesso pretendente, deluso dal suo voto di verginità e indispettito per il dono che Lucia aveva fatto di tutti i suoi beni ai poveri della città. Rifiutatasi di sacrificare agli déi, dopo vari supplizi evitati grazie alla prodigiosa protezione di Dio, sarebbe stata martirizzata il 13 dicembre 304 all’età di 13 anni. Due diversi luoghi vengono indicati come quelli del martirio, posti ambedue sull’area catacombale che da lei prende il nome e distanti un centinaio di metri l’uno dall’altro. Un terzo è attestato da diversi storici sino al secolo XIX. Quest’ultimo ricadrebbe nella medesima area delle catacombe secondo il Gaetani, non così il Capodieci, che lo sposterebbe di un ulteriore centinaio di metri rispetto alle catacombe. Sul luogo del martirio sarebbe subito stato edificato un edificio di culto, mentre il corpo sarebbe stato sepolto nelle catacombe esistenti in situ e lì custodito ed occultato, durante la dominazione araba, sino al tentativo di riconquista della Sicilia operato nel 1039 dalle truppe bizantine capitanate da Giorgio Maniace. Prima della sua ritirata questi avrebbe prelevato il corpo, indicato come quello di Lucia da un vecchio siracusano, e l’avrebbe portato a Costantinopoli per farne dono all’imperatrice Teodora. Da qui durante la crisi dell’impero romano d’Oriente, i veneziani, nel 1204, avrebbero trafugato il corpo portandolo nella loro città dove tuttora si trova.
A causa delle vicissitudini subite dalla reliquia, i siracusani hanno sempre considerato Lucia come una sorta di prigioniera: prima di Maniace e poi, sino ad oggi, dei veneziani. Questo fa sì che la figura di quel vecchio siracusano nella tradizione popolare sia stata da sempre aborrita come quella di un traditore e di un codardo. A lui è però riconosciuto il merito di aver staccato con un morso, con il pretesto di baciare il corpo della martire, una reliquia (il dito). Ciò sarebbe accaduto mentre i soldati traslavano la salma della martire, forse perché si era improvvisamente reso conto della perdita che a causa del suo gesto Siracusa stava subendo. In quell’occasione sarebbero state sostituite le vesti che ricoprivano il corpo di S. Lucia lasciando a Siracusa quelle dismesse (le cosiddette vesticciole) che furono per secoli custodite dalal famiglia Piedilepre.
Va però ricordato che l’assenza del corpo di Lucia non ha mai compromesso, fino ai giorni nostri, la devozione ed il culto rivolto alla martire. Nel sentimento popolare Lucia è sempre presente tra il suo popolo e la sua protezione contro ogni avversità si manifesta in maniera evidente nei momenti più drammatici. Alcuni miracoli a lei attribuiti sono ancora ricordati con delle precise ricorrenze liturgiche, ma anche laddove questo non accade, a lei viene attribuito un costante patrocinio.
Alla fine della seconda guerra mondiale si pensò di erigere alla santa patrona un monumento che ricordasse la protezione che ella aveva certamente accordato alla sua città natale, in considerazione del fatto che i danni e le vittime che Siracusa ebbe a subire non furono ritenuti al livello di quelli lamentati altrove.
Il monumento, pur progettato, non fu poi realizzato perché si preferì costruire una casa di assistenza per non vedenti .
Merita di esser ricordata la leggenda, di volta in volta adattata alle circostanze storiche, della sua apparizione sotto le sembianze di una bella ragazza, vestita di una tunica bianca, che esce a notte fonda e a porte chiuse dalla Cattedrale di Siracusa per essere notata da un personaggio anonimo, che viene identificato nelle varie versioni con un questurino, un netturbino o un semplice passante. Questi, attratto dalla sua bellezza e preoccupato per i pericoli che una giovane a quell’ora e da sola può correre, le chiede il motivo del suo vagare. La risposta è costante: Vado a proteggere la mia città.
In ordine di tempo, l’ultima versione è riferita alla notte del terremoto del 13 dicembre 1990, in occasione del quale un elemento di novità (notizia diffusasi già qualche ora dopo) sarebbe stato il prodigioso distendersi del braccio destro del simulacro durante la scossa tellurica, a significare appunto la protezione dalla sciagura. Questo nuovo anello che così si è aggiunto alla catena delle leggende popolari su Lucia può forse spiegarsi con il fatto che il sisma si è verificato nel giorno dedicato alla santa, in occasione del quale il simulacro argenteo viene esposto all’altare maggiore della Cattedrale di Siracusa, quasi che Lucia avesse voluto, nel giorno a lei dedicato, garantire la salvezza della città.
Tali narrazioni presentano caratteri comuni con quelle di altre martiri dell’epoca di Lucia e di santi patroni siciliani e no, cosa questa che ha fatto dubitare fortemente anche dell’esistenza della santa. In esse sono certamente presenti elementi leggendari, tuttavia, se non è pensabile che si possa dar loro credito sic et simpliciter è però errato liquidare tutto, compresa la stessa esistenza di Lucia, come frutto della fantasia popolare. Come già visto, i riscontri archeologici e documentari di cui disponiamo confermano che Lucia era venerata a Siracusa già nei secoli IV-V e che il suo culto era conosciuto dalla chiesa di Roma già nel secolo VI .
Le narrazioni del martirio di Lucia e il Codice Papadopulo
La narrazione del martirio di Lucia ci è pervenuta in più versioni. Possono essere ricordati il cosiddetto Codice Papadopulo, poi il codice Vaticano greco n. 866 e il codice Vaticano latino n. 1190, il codice greco n. 77 della Biblioteca Universitaria di Messina e il codice custodito nel Patriarcato di Phanar risalente al sec. IX, proveniente probabilmente da Costantinopoli, e pubblicato nel 1955 dal bollandista P. François Halkin S.J., contenente un breve sunto degli Atti. A questi ne vanno sommati altri per un totale di almeno sedici versioni.
Tutti i codici a noi pervenuti sembrano rifarsi ad una narrazione precedente, della quale non resta traccia, che potrebbe essere stata redatta sia raccogliendo le tradizioni correnti sia attingendo agli acta proconsularia che verosimilmente andarono distrutti con l’invasione vandalica dell’anno 427. Questa ipotesi è formulata dal sacerdote ed archeologo Carmelo Amato in un suo studio sulla catacomba e sulla figura di Santa Lucia. A differenza di altri che si astengono dal farlo, Amato azzarda anche un’ipotesi sull’identità dell’autore di questo precedente (preteso?) martyrion. Dopo aver esaminato i Codici vaticani n. 866 e n. 1190, Amato conclude che sia la versione greca che la latina siano da attribuirsi ad un autore unico, un ecclesiastico erudito siracusano, profondo conoscitore delle Scritture, vissuto nel sec. V. Questi, dopo aver redatto il testo in greco, per consentirne una maggior diffusione, ne avrebbe curato una versione latina più popolare e più ricca di particolari. Lo stesso Amato, poi, si spinge fino al tentativo di dare un nome all’autore indicando due personalità siracusane del secolo V: il vescovo Eulalio, che era in rapporti con Fulgenzio di Ruspe, e il presbitero Ilario, primo in Italia a confutare l’eresia pelagiana, uomo conosciuto e stimato da S. Agostino.
Le due versioni, conclude Amato, così come a noi giunte attraverso i codici presi in considerazione, non sono state però immuni da aggiunte fatte dai copisti che le hanno appesantite con formule ed episodi estranei al cristianesimo del IV secolo, come la comunione portata processionalmente a Lucia poco prima della morte.
Sino al secolo XVI le narrazioni conosciute del martirio di Lucia erano in lingua latina ed assimilabili alle tante leggende agiografiche volte ad edificare il popolo e ben poco attente ai fondamenti storici. È stato merito di p. Ottavio Gaetani (1566-1620) dei Marchesi di Sortino, gesuita, aver scoperto a Palazzo Adriano, in provincia di Palermo, presso il sacerdote greco Giorgio Papadopulo una narrazione fino ad allora sconosciuta. Il codice, che poi prese il nome dal Papadopulo stesso, contiene la passio della santa che fu pubblicata nella traduzione latina nell’opera postuma Vitae sanctorum siculorum nel 1657. Nel 1758, a cura del conte Cesare Gaetani, fu pubblicato il testo greco così come chiosato dal canonico siracusano Giovanni Di Giovanni .
All’inizio del novecento un altro studioso siracusano, il sacerdote Concetto Barreca, ritenendo che il testo del Di Giovanni fosse pieno di errori ortografici e abbreviazioni non facilmente comprensibili, pubblicò il testo greco del Papadopulo in una nuova revisione critica e con la traduzione italiana a fronte .
Un’ulteriore pubblicazione nella sola traduzione italiana fu curata da Ottavio Garana nel 1968 . Infine, va segnalato il libro di Pasquale Magnano contenente il testo del Papadopulo con la traduzione italiana a fronte.
I lavori citati sono quelli che si mostrano come i più seriamente documentati. Esistono, infatti, molti scritti su Lucia, ma spesso si tratta di pubblicazioni caratterizzate da insufficiente consultazione delle fonti , presumendo che questo sia avvenuto…
Il Codice Papadopulo, chiamato oggi Atti Greci per antonomasia, è considerato il più antico racconto a noi giunto su S. Lucia e quello più scevro di errori e interpolazioni.
Esso, inoltre è ritenuto concorde con le memorie di Gregorio Magno, contenute nel Sacramentario e nell’Antifonario, e con il De laudibus Virginum di Sant’Adelmo.
In definitiva, considerata l’epoca in cui vissero Gregorio Magno (V-VI sec.) e Adelmo (VII sec.) si può ritenere che quanto contenuto nel Codice Papadopulo possa essere datato al secolo V.
La datazione al V-VI secolo è sostenuta anche da Agostino Amore che, comunque, non lo ritiene storicamente degno di fede. La narrazione del Papadopulo inizia con la vita di Lucia, la sua condizione familiare e le vicende dei suoi ultimi tre anni di vita. Passa poi alla descrizione dell’interrogatorio davanti al proconsole Pascasio e al suo martirio, per chiudersi con l’annotazione che sul luogo del suo martirio fu edificata una chiesa.
La passio di Lucia si chiude con la sua decapitazione, nel Codice Papadopulo e nel Vaticano 866, mentre il Vaticano 1190 riferisce che gladio visceribus transforata est. Non vi è negli Atti Greci il racconto del viatico a lei portato dal vescovo con il popolo, particolare questo presente in altri codici e che richiama un uso ben più tardivo rispetto al IV secolo.
Un elemento che fa da inclusione al racconto è il richiamo ad Agata, quasi che l’agiografo volesse dimostrare che la grandezza e la santità di Lucia non sono inferiori a quelle della santa catanese. Il contenuto poi del sogno che Lucia fa al sepolcro di Agata, e nel quale Agata le annuncia il martirio e il patrocinio su Siracusa come il suo su Catania, sembra quasi suggellare l’incontrastato diritto della vergine siracusana a diventare la santa patrona dei siracusani .
A tal proposito si può rilevare come l’associazione di Agata a Lucia sia stata una costante nella tradizione popolare ed un semplice esempio può esser offerto dall’esistenza, sino all’epoca dell’edificazione dell’attuale Tempietto ottagonale sul Sepolcro di S. Lucia, di una chiesa intitolata a S. Agata. Circa l’annunzio della caduta dell’Impero di Diocleziano e Massimiano dato da Lucia poco prima di morire, va rilevato che Diocleziano nel maggio dell’anno 305, a distanza di qualche mese dal martirio di Lucia, effettivamente lasciò il potere.
I temi della nobile origine, dell’esaltazione della verginità, della rinuncia a tutto il proprio patrimonio per distribuirlo tra i poveri, della denuncia del pretendente respinto e dei tormenti prodigiosamente evitati sono argomenti che ricorrono spesso nelle agiografie delle sante martiri .
Circa Pascasio, detto nel Papadopulo “arconte” secondo l’uso greco, va detto che il pretore a partire da Augusto assumerà il titolo di proconsole, con funzioni di supremo magistrato, amministratore della giustizia e comandante dell’esercito. Unico in tutta la Sicilia veniva nominato annualmente, con la possibilità di proroghe, e, stando a quanto detto da Cicerone nelle Verrine, pur potendo liberamente scegliere il luogo della sua residenza, solitamente dimorava in Siracusa nell’antico palazzo del tiranno Ierone. Il dato incongruente circa la magistratura di Pascasio è dato dal confronto con gli Atti del martirio del diacono catanese Euplo, atti ritenuti dagli studiosi autentici. Euplo, martirizzato nell’agosto del 304, è detto giudicato dal corrector di Sicilia Calvisiano e non da Pascasio. Perché allora la Passio di Lucia presenta un nome ed un titolo diversi? Un’ipotesi, volendo confermare il nome Pascasio al magistrato che giudicò Lucia, è quella che vuole questi succeduto a Calvisiano tra l’agosto e il dicembre del 304; un’altra vedrebbe in Pascasio un delegato del corrector Calvisiano, cosa questa che fa usare nei suoi riguardi un titolo diverso, quello appunto di arconte.
Ciò che va notato di Lucia è che tra le numerose figure di santi e di martiri che la Chiesa siracusana annovera, e della venerazione delle quali restano testimonianze anche nelle catacombe, è emersa solo la sua tanto da far dimenticare ben presto tutte le altre.
A partire, infatti, dai riscontri archeologici si può in questo senso parlare di Marciano e di Siracosio, per i primi secoli, di Bassiano, Zosimo, Metodio e Simeone, per i secoli successivi alle persecuzioni.
Il motivo dell’affermarsi del culto di Lucia non sembra potersi ricercare nel fascino esercitato dalla sua leggenda, visto che l’Encomio di Marciano non è da meno, né nei miracoli da lei operati, considerato che la storia della chiesa di Siracusa è costellata da personaggi morti in odore di santità e autori di numerosi miracoli, tra i quali – solo per citare un esempio – il domenicano Beato Andrea Xueres (sec. XVII) della cui fervorosa venerazione a Siracusa parla Giuseppe Capodieci.
Nonostante tutto nel popolo siracusano è costante nei secoli la devozione e il ricordo di questa giovane martire specie nei luoghi del martirio e della sepoltura.
Una devozione ed un ricordo che non sono cessati né nei duecento anni circa di dominazione araba né nei lunghi secoli in cui questi luoghi, a causa del depauperamento demografico ed economico, sono rimasti estranei e lontani dalla città che si era ridotta alla sola isola di Ortigia
(tratto da “Santa Lucia. La tradizione popolare a Siracusa” di mons. Sebastiano Amenta – edizioni tyche)